Rieccomi a parlare di audio-ibridi, frankestein-music e materiali-sonori-non-identificati, cose che si possono definire "altri-ascolti" che riescono spesso (e volentieri) a spostare di qualche metro più in là, il filo spinato nelle nostre recinzioni mentali in fatto di musica e classificazione della medesima.

Ecco dunque questo strano esperimento elettronico-orchestrale del 2005 interamente suonato da una band di quasi 20 elementi tra violini, celli, viole e tromboni che interpretano una delle cose meno interpretabili da un'orchestra classica: la musica fredda e spiazzante di Aphex Twin.

Un martellamento sonoro e ritmico eseguito con tanto di partiture e direzione orchestrale su una musicalità astratta e asimmetrica tipica di una certa elettronica pulsante e percussiva spesso ben oltre i 120 bit comunemente accettati. Un disco lungo e articolato dove si oscilla continuamente tra elettronica e virtuosismi analogici (!) e dove il tutto coesiste in nome di un'abilità esecutiva e interpretativa ben al di sopra degli standard abituali. La cosa non è nuovissima in sé ma ad incuriosire è l'intersezione organica e mai forzata di due mondi così apparentemente inconciliabili. In tutto 14 tracce ispirate e "veloci" abilmente guidate e arrangiate da diversi "maestri" che si alternano alla guida dell'ensemble degli "Alarm Will Sound" non nuovi a esperimenti di questo tipo (basti solo ricordare lo splendido tributo a Steve Reich del 2002).

Le "menti orchestrali" sono Stefan Freund, Jonathan Newman, Payton MacDonald, Caleb Burhans, Ken Thomson, Courtney Orlando, Evan Hause, John Orfe, John P. Richards e Dennis DeSantis che interpretano i vari brani con abilità "classica" pur non snaturando la natura "inorganica" e fredda delle basi originali. Un gioco al cesello, dove l'attenzione viene via via orientata all'arrangiamento del tutto senza caricare troppo i pezzi di soluzioni obsolete o confusionarie (ascoltare la leggerezza e la classe di "Blue Clax" soffusa e martellante senza mai esagerare).
Ma c'è spazio anche a momenti vagamente ludici e di sapore classico coi violini che giocano in contrappunto con i loop elettronici ("Fingerbib") dando un senso di piacevole estraneità al brano. Si passa poi a momenti di cupa desolazione ambient minimalista col brano "Gwerly Mernans": cinque minuti di esperimenti eterei sospesi tra P. Glass e Terry Ripdal (sempre loro!) per arrivare a brani come "Prep Gwarlek 3B" imbastito su tappeti percussivi orientaleggianti o "Omgyjya Switch 7", quasi un proto-funk ovattato che oserei definire fusion-modale con improvvisazioni di clarinetto e pianoforte a reggere i lunghi 5 minuti del brano.

Ci sono poi piacevoli intermezzi come il brano 11 "Jynweythek Ylow" (titoli assurdi degni del miglior Bartezzaghi a quanto pare!) in contrappunto di violini pizzicati e contrabbasso dal sapore vagamente rimascimentale. Parte invece quasi in sordina il successivo "Mt. Saint Michel" per poi accellerare a razzo con una base ritmica quasi samba e in forte contrasto con la freddezza dei suoni acidi e glaciali.
La mascella poi cade interdetta all'ascolto del brano remixato dance (!) di "Prep Gwarlek 3B remix", qualcosa di estremamente cool che spinge anche i più refrattari (io ad esempio) a smuovere il culo a tempo. E si chiude con "Cliffs Remix" anch'esso dance, prossimo alle sonorità del miglior Herbert ricco di contrattempi e soluzioni sonore davvero invidiabili di zappiana reminescenza.

Un disco bello e interessante, forse un po' lungo per la qualità e la quantità di materiale proposto (raggiungiamo i 70 minuti!) ma sicuramente talmente zeppo di idee che, preso a piccole dosi, continuerà a girare nel vostro lettore stereo almeno una volta al mese, se non altro per ricordarci cosa significhino le parole "originalità" e "qualità" applicata alla musica "over-all".

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