Roland Orzabal è nato in Inghilterra ma basta il nome e basta guardarlo (capelli nerissimi, labbra carnose… ) per intuire che la sua è una famiglia cosmopolita: il suo nome per intero è Roland Jaime Orzabal de la Quintana, ha padre francese madre inglese nonni argentini e baschi, così che il meraviglioso mix del suo sangue dona intriganti aperture al suo talento di compositore e interprete pop.

Con questo album siamo nel 1995, gli anni ottanta e la sbornia del grande successo sono ormai lontani, disperso poi da tempo e coi soliti amari strascichi il compagno d'avventura nei Tears For Fears Curt Smith (poi recuperato qualche anno fa) che comunque aveva assai minor peso del suo nell'economia del gruppo. Roland è ora padre di un bimbo a cui ha voluto mettere nome Raoul, magari perchè scoprendo in esso una faccia da gaucho come la sua.

La Spagna, il regno, le città delicatamente barocche e fascinosissime, il calore europeo nelle melodie e nelle chitarre acustiche, i testi pieni di introspezione e di melanconia, quelle sensazioni che ti colgono quando non sei più giovane ma certo nemmeno vecchio, hai fatto molte scelte preso molte fregature e molti colpi di fortuna… tutto questo riversato in un album crepuscolare e adulto che inevitabilmente vende assai meno dei precedenti. Manca la consueta leggerezza e sfarzosità, l'elettronica è ridotta al minimo, dominano le chitarre talvolta anche belle durette, soprattutto niente retrogusto a la Beatles nelle melodie e nei cori stavolta.

Proprio per questo è l'opera che preferisco dei Tears. La vociona potentissima e spessa di Orzabal è lì al suo posto, più sonora che mai a dominare gli arrangiamenti ancora una volta di classe sopraffina, vera scuola per molti produttori (i cd dei Tears sono immancabili in qualsiasi studio di produzione per trarne spunti ed idee di suoni e di ritmica). Perché le canzoni sono bellissime e struggenti anche se in realtà il tema spagnolo è trattato non troppo organicamente, è più che altro un vestito ammaliante, un richiamo al "continente" ed alla latinità che scorre in lui.

Le immagini della copertina e del libretto sono a stereotipo ma comunque di grande effetto: la classica Pamplona, con la corsa dei tori e la gente appesa ai lampioni per non farsi incornare, ma anche meravigliosi loggiati ed androni d'epoca nei quali il buon Roland si fa fotografare intento sulla chitarra, a celebrare una parte importante di sè.

Il pop è genere quanto mai vasto, in esso confluiscono a iosa solenni porcate manovre commerciali senza alcuno spunto artistico, ma vi sono anche luminose eccezioni ed i Tears For Fears sono una buona garanzia in questa categoria.

Disco affascinante.
Carico i commenti... con calma