Ex partigiano, gollista d.o.c., uomo di destra per pessimismo sui destini e i sentimenti dell'uomo, Jean Pierre Melville (1917-1973) è sicuramente il miglior regista del genere "noir" della storia del cinema francese. Nei suoi film, da "Lo spione", a "Tutte le ore feriscono, l'ultima uccide", "I senza nome", sono contenute tutte le caratteristiche che hanno reso noto e amato il thriller d'oltralpe nel mondo. Ma Melville (vero nome J. P. Grumbach), come tutti i grandi autori del cinema di genere, travalica i confini per raccontare i movimenti dell'animo umano.

Influente eminenza grigia del cinema nouvelle vague (al punto che Godard lo fa recitare in "Fino all'ultimo respiro" nel cameo dello scrittore Parvulesco), relegatosi nell'area del cinema noir per meglio esprimere la sua visione pessimistica dell'esistenza, Melville raggiunge lo zenith creativo con il magnifico "Frank Costello, faccia d'angelo", pessimo titolo italiano per il ben più coerente nome originale, "Le samourai" (1967).

Protagonista della pellicola Alain Delon, che dopo gli esordi con celebrati autori, quali Visconti e Antonioni, sceglie la strada del "polar" come veicolo di sicurezza per la carriera artistica. In "Frank Costello" l'attore fornisce la sua interpretazione più rimarchevole al punto che spesso gli capiterà di reinterpretare lo stesso clichè svariate volte (tra cui il non disprezzabile "Tony Arzenta" di Duccio Tessari). In "Frank Costello" Delon è Jef Costello (misteri italiani… ), un killer freddo come il ghiaccio che svolge le sue commissioni in maniera perfetta e con alibi di ferro. Gli viene commissionato l'omicidio del direttore di un club, dove si esibisce una pianista jazz di successo, Valerie (Cathy Rosier). Quest'ultima sarà involontaria testimone dell'uscita del killer un attimo dopo che questi ha terminato la commissione.

Costello ha un alibi perfettamente congeniato (forse il piu' geniale della storia del cinema); durante il confronto all'americana Jef ne esce libero, grazie anche alle testimonianze della sua donna, Jane (Nathalie Delon), al silenzio della pianista, forse affascinata dal tenebroso regolatore. Il commissario (François Perier) subodora però che Costello sia comunque il colpevole, piu' per intuito che per le prove che, visto l'alibi, sembrano non esserci. Ma anche il congegno piu' sofisticato ha sempre un difetto: Jef è stato visto uscire dalla casa della sua donna da un cliente di questa (si intuisce che la fidanzata sia una prostituta) e fornisce testimonianza al commissario. Nel frattempo Costello deve vedersela con i suoi committenti, che hanno deciso di pagarlo col piombo piuttosto che in franchi…

"Frank Costello" è un film che mantiene negli anni un fascino inscalfibile: si può dire che sia la quintessenza del classico noir francese, coi suoi silenzi, i suoi tempi lunghi, la pioggia, i bassifondi.

Melville sembra conoscere bene l'ambiente della mala; le auto cambiate da Jef e i modi per contraffarle, gli ambienti del poker clandestino, le stanze dei commissariati, i chiaroscuri dei club de jazz. Tutto realistico, tutto puntuale. Ma la vera carta vincente del film è Delon stesso: mai come in questo film il suo bellissimo volto di ghiaccio e i suoi modi distanti sono sublimati nella costruzione di un personaggio glaciale e perfezionista, apparentemente privo di sentimenti. Jef è un uomo solo, completamente e volutamente solo, soffocato nel suo trench e nel suo borsalino. Si infila nelle auto altrui come un gatto (memorabile il furto della "Citroen ds" dei primi minuti); abita in un vecchio appartamento, ovviamente da solo, eccezion fatta per un canarino, unica compagnia il suo cinguettio monotono. E' un vero e proprio Samurai: svolge le sue commissioni senza voler sapere niente altro che il nome di chi deve far fuori e se ne ritorna a casa senza un brivido di rimorso o pietà. E' nella logica uccidere e in questo è un vero orientale. Tanto quanto l'orgogliosa scelta di morire a modo suo, quasi un seppuku all'arma da fuoco. La scena finale è memorabile proprio perchè, come Jef, rappresenta la sua morte con distacco. E anche per questo risulta una chiusura indimenticabile.

Molte sono le scene immortali per questo gioiello: l'inseguimento nel metro, copiato poi in tanti altri film, compreso "Il braccio violento della legge" di William Friedkin, il posizionamento delle "cimici" nella stanza diJef (i poliziotti ascolteranno per giorni solo il pigolio del canarino), il già citato furto dell'auto in una Parigi uggiosa, il confronto al commissariato. Grandissima l'interpretazione del fantastico Perier: il suo commissario è la perfetta nemesi di Jef e la sua determinazione, quasi ottusa, ce lo rende odioso laddove invece il killer risulta fascinoso e fragile, tanto da far innamorare la pianista.

Nonostante la pletora di noir seguenti "Frank Costello", nessuno raggiungerà la perfezione formale e il fascino del film di Melville. Tutti i temi e le atmosfere del genere sono inventate e concluse in quest'opera che, sottolineo, sta alla base dell'omaggio di Jim Jarmush a questo film, "Ghost Dog". Merito di Melville (che sui titoli di testa si inventa persino una massima del "Bushido", il codice del Samurai (per capire bene lo spirito del film); merito delle grandi interpretazioni e, indimenticabile, della musica di François de Roubaix (bellissmo il fugato sull'hammond che accompagna i movimenti del killer) e della fotografia del grande Henri Decae, il decano dei direttori di noir, perfetto interprete delle pioggie e dei bassi di un'inedita Parigi.

Suggerita la nuova edizione del film in dvd, reperibile sul mulo: la colonna sonora è stata ripulita e le musiche rimontate nel punto giusto dell'edizione originale.

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