"Arbeit macht frei", frase tristemente nota, di cui tutti, credo, conosciamo il lugubre e crudele significato negli anni in cui il folle sogno nazista voleva cambiare radicalmente le sorti del mondo per assoggettarlo ai voleri di un pazzo visionario che non ha pagato all'umanità, purtroppo, il prezzo del suo insensato e assurdo delirio mentale.

Così gli Area intitolarono il loro fulminante esordio nel panorama musicale italiano causando un terremoto di pareri discordi tra pubblico e critica. A mio avviso mai nessun esordio fu tanto ardito e coraggioso, e mai nessun altro riuscirà a destare tanta attenzione e a sfornare un capolavoro come questo al primo colpo, in cui la parola "musica", nel senso proprio del termine, perde il suo significato per trasformarsi in una fusione alchemica tra mille influenze diverse: free-jazz allo stato puro, progressive rock, musica contemporanea mediterranea, folk mediorientale, elettronica, psichedelia, sperimentazione più ardita, musica balcanica, semplici rumori e Dio solo sa quant'altro questi folli sono riusciti a legare indissolubilmente in questo capolavoro uscito nel 1973 per la Cramps Records.

Tutta questa diversità musicale in un solo lavoro deriva dal fatto che i componenti dell'International POPular Group ("musica di fusione di tipo internazionalista", come Stratos la definiva) provenivano da ambienti diversi: chi dal jazz, chi dalla musica contemporanea, chi aveva avuto esperienze di elettronica in U.K. e tutti cercavano di fondere il loro bagaglio in qualcosa che difficilmente può trovare una definizione e sfugge a tutte le catalogazioni possibili.

Questi i padri fondatori degli Area:

Demetrio Stratos - voce, organo, percussioni - cantante dalle doti strabilianti, dall'estensione e potenza inarrivabile (7000 Hz) e capace di emettere contemporaneamente più suoni (Diplofonie, Triplofonie e Quadrifonie)

Patrizio Fariselli - tastiere, sintetizzatori, moog - autore di tutta la musica

Giulio Capiozzo - batteria e percussioni -

Yan Patrick Erard Dyivas - basso, contrabbasso -

Johnny Lambizzi

(sostituito in questo disco da Paolo Tofani, poi membro stabile del gruppo- chitarra solista, sintetizzatori -)

Victor Edouard Busnello - flauto, sassofono, fiati -

Gianni Sassi - produttore degli Area, firma i testi sotto lo pseudonimo di "Frankenstein".

Dyivas lascerà poi il gruppo per unirsi alla PFM e verrà sostituito da Ares Tavolazzi e, insieme a lui, anche Busnello deciderà in seguito di dedicarsi ad altri progetti.

Demetrio Stratos morirà in un Ospedale di New York il 13 Giugno 1979, per una leucemia fulminante e con lui se ne andrà la voce più dotata, interessante e ineguagliabile che l'Italia e il Mondo abbiano mai avuto la fortuna di ascoltare.

Con Demetrio la voce diventa per la prima e forse ultima volta (cose simili aveva fatto solo Tim Buckley, ma i due non si possono paragonare..) strumento musicale a tutti gli effetti, l'apparato vocale è oggetto di uno studio forsennato, che va al di là della sola tecnica, ma prende in esame il legame indissolubile che, per Demetrio, esisteva tra psiche e voce. Niente, secondo lui, era impossibile e unendo la tecnica alla psiche si poteva raggiungere qualsiasi risultato e arrivare a esplorare territori che a prima vista erano praticamente impossibili (Per il blocco della mente appunto..).

Se ascoltiamo capolavori come "Cantare la voce" o "Metrodora" ci rendiamo conto di trovarci davanti a un vero e proprio fenomeno, mai arrogante, ma solo vorace di sperimentazione e voglioso di far proprio il mondo della conoscenza acquisita.

"Arbeit macht frei" divide i pareri sicuramente per un approccio musicale estremamente ardito e di non facile comprensione per i più, e, sicuramente, per i testi sperimentali che avevano chiari riferimenti politici; per questa ragione gli Area sono sempre stati tenuti un po' ai margini della scena proprio per le loro simpatie politiche.

"Luglio, Agosto, Settembre (Nero)" apre questo capolavoro e fa capire quello che gli Area volevano fare della loro "musica", mettere insieme qualsiasi cosa avessero in mente per trovare una nuova forma di canzone, distruggere gli schemi conosciuti, rimetterli insieme per poi polverizzarli di nuovo con improvvisazioni ardite, stop, cambi continui di tempo, tempi dispari, rumori, accelerazioni mostruose. Nulla sembrava avere un limite nelle loro composizioni, nulla, anche se a volte sembra, è lasciato al caso, tutto trova una precisa collocazione e crea qualcosa che definire "canzone" è piuttosto riduttivo.

Il pezzo va inquadrato in un preciso periodo, quello riferito ai fatti di cronaca legati al l'FLP (Fronte per la Liberazione della Palestina) e agli attentati da loro compiuti, tra cui quello alle Olimpiadi di Monaco e all'aeroporto di Fiumicino. Gli Area condannavano e discordavano da quegli atti atroci, ma cercavano di vedere la situazione anche dall'altro lato, dalle privazioni subite dai Palestinesi nei campi profughi, costretti a vagare senza una fissa dimora, senza più la loro terra, sfrattati e cacciati nell'indifferenza più totale del Mondo. Molti non hanno capito la loro posizione e li hanno additati come reazionari, estremisti e sovversivi

Inizia con una registrazione "rubata" al museo egizio del Cairo, seguita da un'introduzione vocale di Demetrio che recita:

"Giocare col mondo
facendolo a pezzi
bambini che il sole
ha ridotto già vecchi...
"

(Da notare l'effetto volutamente eseguito da Demetrio sulla parola "bambini").

Si parte con un giro apparentemente semplice che riporta alla musica contemporanea dell'epoca, stop con cantato, basso e organo, ripetuto nella strofa successiva, poi, man mano che il pezzo avanza il ritmo aumenta, accelera freneticamente, per fermarsi nuovamente in un'improvvisazione di suoni e rumori etnici, percussioni, note apparentemente alla rinfusa, vocalizzi da giungla, cantilena di Demetrio che segue basso e organo, accelerazione graduale con entrata di Capiozzo e via via tutti gli altri in un crescendo continuo e apoteosi finale che sfocia nel jazz più ardito.

Scomponendo questo primo, fulminante brano (cosa che si può fare con tutto il resto dell'album),  possiamo benissimo trovare una marea di elementi per comporre tranquillamente molteplici pezzi separati, ognuno differente dall'altro in genere e tempo.

Veniamo all'improvvisazione strumentale pura di "Arbeit macht frei".. E che dire? Interminabili minuti di pura follia musicale introdotta dalle pelli di Capiozzo che si conferma uno dei batteristi più dotati e versatili in Italia a quei tempi e forse anche ai nostri, a cui si aggiunge un giro claustrofobico di basso, Moog, effetti psichedelici, flauto e sassofono, rumori di ogni sorta, che dapprima sembrano discordare gli uni dagli altri (ma si legano benissimo), e poi si parte per terre di free-jazz totalmente fuori da ogni schema.

I nostri accelerano come schegge impazzite, rallentano, fanno quello che vogliono e potrebbero andare avanti ore facendo sempre cose diverse e non stancandosi mai. Demetrio arriva quando il pezzo sembra prendere un ritmo stabile, gorgheggia, ma ancora il pezzo cambia, l'improvvisazione la fa da padrona, assolo vertiginoso di tastiera, scale improponibili in ascesa e discesa e il ritmo riprende apparentemente normale per permettere a Demetrio di concludere con l'ultimo verso la canzone che, dopo un ennesimo vocalizzo, si interrompe bruscamente. Non ci sono parole per descrivere appieno la capacità e il talento individuale dei musicisti, bisogna solo ascoltare più e più volte per capire davvero il valore delle composizioni di questi pionieri e violentatori del pentagramma e del metronomo. Mostruosi.

Una scala vertiginosa apre il terzo brano "Consapevolezza".

I nostri salgono, scendono, gli strumenti si battono uno contro l'altro, Capiozzo fa un lavoro sbalorditivo alla batteria e si fatica a capirne i passaggi, poi tutto si ferma per disegnare una breve parentesi che rimanda alla psichedelia pura, e Demetrio parte con il cantato, due sole strofe, vocalizzi e via, si riparte nella follia più assoluta del jazz, per poi fermarsi ancora in divagazioni sassofonistiche, ritmo lento e cadenzato, sottomesso, controtempi e tutto piano piano prende quota per l'ultimo fraseggio di Stratos con un finale in cui il cantante lascia stupefatti per quello che riesce a fare con la sua voce strumento.

"Le labbra del tempo" subito anch'essa parte con scale impressionanti stoppate, poi tutto si ferma per lasciare spazio a chitarra, basso e fiati; Demetrio segue con le linee vocali Busnello, finendo la strofa con un vocalizzo tenoristico e da lì parte ancora il genio degli sregolati musicisti che, con tempi e controtempi incredibili disegnano un tappeto al limite tra il puro free-jazz, la psichedelia, sperimentazione e la follia più assurda, fermandosi bruscamente per lasciare solo un drappo d'organo e suoni sintetizzati che accompagnano uno stucchevole Stratos nell'ultima parte. Si riprende in controtempo con il ritmo che aumenta gradualmente fino alla fine del pezzo per poi sfumare..

"240 Chilometri da Smirne" sembra un pezzo jazz all'apparenza, dove Capiozzo fa un po' quello che vuole e non delinea mai un tempo definito, ma lo compone con un'assolo continuo, la stessa cosa fa Dyivas, mentre Busnello, Tofani e Fariselli lo seguono senza fiatare, poi tutto si ferma e il basso inizia il suo assolo vertiginoso, accompagnato da un impressionante Capiozzo che lavora incessantemente di polso sulle pelli e sul raid; mano a mano gli altri entrano e tutto si fonde, il ritmo e i volumi aumentano a dismisura, prende la parola Busnello che con il sax la fa da padrone, poi tutto si ferma, e tu stai lì a chiederti: ma cazzo ..è vero? Questa gente davvero suonava così? Trent'anni fa? Non riesci a capacitarti di come possano aver fuso tante influenze e stili in poche canzoni, non lo ritieni umanamente possibile.

Ti rimane solo ascoltare stupefatto e rispettare in religioso silenzio.

Dopo queste cinque canzoni che già hanno sconvolto e buttato in un limbo da cui non si torna l'ascoltatore i nostri hanno pensato di concludere l'album con il pezzo più ardito e sperimentale di tutti gli altri:

"L'abbattimento dello Zeppelin", abbattimento di ogni forma musicale conosciuta fino ad ora, scomposizione della forma "canzone", riuscire ad andare oltre, passare i propri limiti per approdare in un universo parallelo, fatto di singoli suoni, parole, rumori, musica, magia e follia compositiva.

Stratos qui raggiunge livelli davvero inverosimili, la sua interpretazione è magistrale, sussurri, vocalizzi e un suono che prima parte piano, poi aumenta gradualmente e mostruosamente e ti distrugge le casse se il volume è un tantino troppo alto, vocalizzi da soprano, urla sgraziate e un virtuosismo finale a cui l'orecchio umano fatica a credere.. Sembra non aver limiti la sua voce e ricordiamoci che era solo agli inizi dei sui studi. Gli altri si danno alla sperimentazione più pura, al delirio musicale più assoluto. Ancora oggi si fatica a capire un pezzo e un album come questo e bisogna ascoltarlo a più riprese per apprezzarne pienamente il valore.

Un album immortale, da molti considerato il capolavoro del progressive anni 70, qualcosa che nessuno riuscirà mai ad eguagliare per idee e creatività. Musicisti immensi.

Da possedere, assolutamente.

Mi scuso se compaiono già due recensioni su questo lavoro, ma volevo dire anch'io la mia su un gruppo che ha cambiato il mio modo di ascoltare e interpretare la musica e ha aperto la mia mente verso orizzonti lontani.

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