Ladri di biciclette si sviluppa su quattro temi principali, la necessità di trovare un lavoro nell'Italia dell'immediato dopoguerra, la rappresentazione del nostro paese in quel periodo di transizione, la relazione tra genitore e figlio, e, il furto di una bicicletta. Antonio, buon padre di famiglia, non pretende molto dalla vita, un lavoro che gli consenta di dare ai suoi cari, persone semplici, oneste, quel poco che permetta loro di vivere decorosamente. La fortuna di aver trovato un impiego come attacchino, presto diventa tragedia, allorchè un ladro gli ruba la bicicletta. Così inizia la sua odissea nella Roma del dopoguerra. Accompagnato dal figlioletto Bruno, vaga al limite della disperazione per le strade, tutto sembra essergli ostile. Perfino la città appare fredda, una Roma nella quale convivono miseria ed opulenza, gente onesta e piccoli criminali. Il destino d'Antonio si confonde con quello degli altri, gente che tira avanti pensando alle faccende quotidiane, occupati dai problemi personali, indifferenti alla tragedia che sta vivendo. Distaccata testimone la cinepresa guidata da De Sica fruga tra le strade della capitale, mostrando l'Italia del dopoguerra nella sua drammatica autenticità, senza inutili pietismi, così come la visse egli stesso. Non espone il dramma di una sola persona ma quello di un'intera nazione, che ancora doveva riprendersi dalle ferite della guerra. Un paese di grande contrasti, grandi speranze, e grande povertà. La pellicola chiama in causa la nostra emotività perché commuove per realismo, umanità, impegno sociale. Si percepisce che il regista guarda alla gente con appassionata pietà, ma rimane fedele alla sua linea di oggettività e distacco. Senza giudicare nessuno. Aiutato dalle riprese in bianco e nero, De Sica inserisce nel film scene di commovente intensità, ad esempio mentre padre e figlio stanno sfiduciati sotto la pioggia ai mercati generali, oppure nel momento in cui Antonio vicino lo stadio valuta se rubare egli stesso una bicicletta. Ci commuove, ma il regista non mostra mai che per il protagonista possa esistere una via d'uscita. In questo contesto la bicicletta diventa l'incarnazione della salvezza; Antonio la cerca disperatamente poiché da essa dipende il suo lavoro e la sopravivenza della propria famiglia. De Sica girò il film sulle strade, facendo recitare gente comune, che altro non doveva fare che interpretare se stessa. Non si occupa dei grandi problemi, racconta una storia semplice, nella quale c'è il dolore, la vita, rappresentata con una veridicità che era sconosciuta alla fabbrica dei sogni hollywoodiana. Il film vive in gran parte del rapporto padre e figlio: Bruno é un bravo ragazzino che rispetta ed ammira il genitore, speranzoso lo segue nella sua caccia. Antonio se lo porta dietro, per non sentirsi solo nella sua sconsolata ricerca, hanno momenti di scontro, ma il più delle volte il piccolo subisce tacendo. Il crescendo drammatico, si sviluppa in modo esemplare, dopo che Antonio si rende conto che non avrà indietro la sua bicicletta, che è una situazione disperata. Allora é costretto egli stesso a diventare un ladro. Bruno lo guarda mentre sale in sella ad una bici e si da alla fuga. Il film raggiunge il culmine della tensione emotiva, quando il piccolo vede il padre umiliato, preso a schiaffi, dalla folla inferocita che l'aveva inseguito e raggiunto. Antonio si rende conto di essere stato disonorato sotto gli occhi del figlio, di aver compromesso la propria dignità; saranno le lacrime del bambino a suscitare la compassione del proprietario della bici, che rinuncia a denunciarlo. Nella scena finale, quando il genitore prende per mano il ragazzino per tornare a casa, questi capisce la disperazione del padre, è cosciente del dramma passato, per lui le traversie accadute sono state motivo di crescita.

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