Ebbene si, Crispian Mills ha riesumato i suoi Kula Shaker.

Badate bene, siamo di fronte ad una vera reunion, non come quella finta inscenata dal buon Billy Corgan per i suoi "Smashing Pumpkins 2". Riunitisi nel 2005, i Kula hanno registrato un ep nel 2006, "Revenge of the King", promuovendolo con un piccolo tour nel Regno Unito, e ora sono tornati con il loro terzo album in studio, "Strangefolk". Unica differenza rispetto alla vecchia formazione è la sostituzione del vecchio tastierista Jay Darlington (che ora suona con gli oasis) con il gallese Harry Broadbant. L'asse portante, e soprattutto il duo compositivo Mills-Alonza, è rimasto lo stesso.

Diciamo subito che "Strangefolk" non è all'altezza del capolavoro "K", ma si avvicina abbastanza al pur buono "Peasants, Pigs and Astronauts". Il disco ha sostanzialmente due facce: nella prime 4 tracce troviamo un'attitudine decisamente meno indianeggante e psichedelica dei primi due album, che strizza l'occhio al pop più catchy e radiofonico, come nell'apertura decisamente convincente di "Out on the Highway" o nella ballata "Die for Love". Attenzione però: Mills è a mio avviso uno che il pop sa farlo per davvero. Provate ad ascoltare i cori e l'assolo del singolo "Second Sight" e vi troverete di fronte ad un piccolo gioiello pop-rock di raffinatissima fattura. E non è l'unico: ricordo ancora la già citata "Out on the Highway", puro brit pop con tanto di schitarrate e testo (volutamente?) mieloso, ma tutto sommato coinvolgente e la strana e ironica "Dictator of the free world", intrisa di attudini sixties e volutamente generica nel ritratto del potente tiranno di turno, che sembra quasi voler omaggiare scherzosamente il Dylan più "politico".

A partire dalla spartiacque "Strangefolk" l'album ha invece una virata "fiabesca", che ci ricorda un pò i vecchi Kula: manca ancora l'india, presente solo nell'ottima "Song of love/Narayana", che è però è il riarrangiamento di un pezzo vecchio scritto da Mills insieme ai Prodigy e presente in "Fat of the Land". Bel pezzo, ma sa un pò di contentino per i fan della prima ora.

Comunque a partire da questo momento i pezzi si allungano, sembra sentirsi la necessità di un racconto, di un orizzonte "epico" (viene da qui il titolo strangefolk? boh..) e di un respiro più ampio. E' una psichedelia più rilassata, meno "spaccona" di quella a cui ci avevano abituato Mills e soci. E' in questa scia che si inserisce quella che secondo me è la migliore traccia del disco: "Hurricane Season", pezzo epico e sincopato (davvero splendido l'arrangiamento) cantato da Mills con un piglio smaccatamente Dylaniano (c'è parecchio Dylan in "Strangefolk" secondo me) che narra la storia di un malcapitato capitano di una nave alla ricerca di un tesoro che si ritrova nel bel mezzo di una tempesta. Tappeto di chitarre acustiche ed elettriche, basso e pianoforte, con tanto di gabbiani in sottofondo. Per carità, niente di nuovo sotto il sole, ma che classe.

Gli altri pezzi che chiudono "Strangefolk" non raggiungono il picco di Hurricane Season ma si lasciano ascoltare piuttosto bene, in particolare la beatlesiane "Ol'jack tar" e "Dr.Kitt", che sembrano proseguire in qualche modo la storia del marinaio. La chiusura è invece affidata a "Super CB Operator", pezzo allegro e scanzonato che non c'entra una ceppa con i precedenti, che sembra buttato lì a caso. Incomprensibile.

Tirando le somme possiamo dire che "Strangefolk" è un bel disco, anche se pecca un pò di omogeneità e di originalità, ma del resto non stiamo parlando dei Radiohead o dei Deus. Le due facce potevano forse essere integrate meglio, ma il materiale c'è eccome. Mills non nasconde le sue influenze e sa rielabolarle in modo davvero elegante secondo me. E poi diciamocelo: nel panorama rock contemporaneo ce ne fossero di gruppi come i Kula Shaker.

Una delle poche reunion di cui si sentiva davvero il bisogno.

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