Immaginate un attimo di essere un essere umano. Fatto? Non è molto difficile vero? Ora immaginate di essere un essere umano rimasto chiuso in un ascensore buio che scende (o sale?) da ore senza fermarsi, dandovi l'impressione che il tempo si sia fermato in quel luogo buio e opprimente. Avrete una vaga idea delle sensazioni che offre questo disco, o meglio UNA delle sensazioni principali che è in grado di offrire. In assoluto la prevalente è l'inquietudine.

Quel simpatico "sperimentalista" di un Hawtin gioca con le frequenze ultrabasse contrappuntate da sibili elettronici che profumano veramente tanto di Aphex Twin'n'Autechre nella loro versione più incubica. Già con "Contain", il primo brano, si intuisce la direzione che prenderà il disco, che è quella dell'estremizzazione della ripetitività elettronica, il Minimalismo Techno appunto. Certuni dicono che con questa storia del minimalismo Hawtin e altri artisti (non escluderei Juan Atkins) l'hanno messa in culo al mondo intero, ottenendo tanto successo quanto minimo è lo sforzo propugnato nella produzione. Questo non lo so e francamente non mi interessa, perchè io intendo parlare di QUESTO disco e parlando di questo disco si può solo osservarne l'estrema grandezza e tentare, possibilmente senza successo, di descrivere la dimensione parallela che ti rivela davanti lentamente, oscillazione dopo oscillazione, e che è allo stesso tempo cosmica e clustrofobica.

Le tracce che compongono questo capolavoro sono tutte contraddistinte dal suono cupo ultrabasso che le rende tutte un pò simili, questa scelta però non implica una carenza di idee, bensì una ricerca di continuità fra la materia sonora che riesce a dare la sensazione di attuare un vero è proprio viaggio nei meandri più nascosti e oscuri della propria mente. Un unico blocco sonoro di ossessiva Techno psichedelica, al 100% negata per il dancefoor, vicina tanto alle opere più avanguardistiche dei Pink Floyd quanto alle sperimentazioni Neo-Ambient made in Warp-records. Una continuità, dicevo, che non permette soste alla propria mente ormai allucinata. Dalla materia cosmica di "Ekko" all'opprimente cupezza ambient di "Converge" (a proposito, ottimo il suo video "allucinogeno"), tutto fluisce in maniera tanto perfetta ed annientatoria per le proprie povere (e impreparate) cellule celebrali che neanche vi accorgerete del passare del tempo, e credetemi, quasi ogni brano si mangia tempo in quantità, restituendotelo sintetizzato nella maniera più minimale e quindi alienante possibile. Proprio questo è il fattore più eccezzionale dell'album: la materia sonora è dilatata all'infinito con machiavelliano cipiglio calcolatore, e di qui la sensazione di spazialità e cosmicità (spazio aperto), la quale è nello stesso tempo contrappuntata dall'insistenza di quei beat tanto perfetti e fitti da non lasciare trapelare un solo raggio di sole, suoni che sono talvolta in grado di levarti il fiato, impedendo qualsivoglia via di uscita dall'incipiente claustrofobia (ascensore chiuso). Ciò è reso palese nel brano "In Side", la traccia più claustrofobica di tutte, 12 minuti e passa di buio pesto, tesa fra beat spaziali che rimbombano all'infinito e l'occludente Synth ambient che soffoca il pezzo con fare inquietante.

L'unico momento in cui si avverte un rilassamento è stranamente la title track, "Consumed", che all'ascoltatore giunto fin lì inevitabilmente stremato da "In side" riesce a regalare una freschezza come neanche due ghiaccioli alla fragola in quel momento riuscirebbero a dare. Ritmica con cassa più pressante, tipicamente techno, con L'hat che subentra dopo per risvegliare il piedino quasi defunto dell'ascoltatore. "Consumed" è del tutto opposta alla precedente "in side", cosmica ed estensiva là dove quella era claustrofobica, solare là dove quella era cupa. "Consumed" è a dirla tutta un capolavoro dentro il capolavoro. Un pezzo che da speranza senza proferire verbo, un brano eccelso che è di per se un pezzo da antologia della techno. Da questo si passa, sempre senza interruzioni, a "Passage (out)", un brano ambient di nuovo cupo e spettrale, che non tradisce gli umori prevalenti del disco, fugacemente abbandonati dalla title track. Si ritorna nello spazio per altri tre minuti di ombra. In ogni caso quello è assolutamente il modo migliore per terminare un disco che è senza dbbio fra le migliori opere elettroniche del '900, insieme ad "Endtroducing", "Mezzanine" e "Selected Ambient Works" vari. Ed è difficile confutarlo, perchè negare la grandezza di una tale opera è inutile e impossibile senza sfociare nei gusti personali. Respect.

ps: tornare sulla terra poi è meraviglioso.

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