"In an Expression of the Inexpressible" è un album giusto. Giusto nei contenuti, giusto nei suoni, giusto nell'attitudine. Seppur alla fin fine continui comunque a preferire "La mia Vita Violenta", questa release targata 1998 suona un po' come l'album della maturità per il combo newyorkese: lo spartiacque fra il passato e il futuro, il luogo dove non si osa ancora rinunciare alle irruenze soniche degli esordi, ma si anticipa al contempo la virata melodica dei lavori che seguiranno.

Beninteso, il fantasma dei Sonic Youth aleggia ancora qua e là, ma i fratelli Pace e l'istrionica Kazu Makino sono in grado finalmente di tracciare, con perizia tecnica e giusta ispirazione, le coordinate di un sound sufficientemente personale.

E' un album giusto, come dicevo, capace di racchiudere in sè il giusto mix di suoni ed intuizioni, e divenire involontariamente l'album piacione capace di mettere d'accordo l'antipatico pseudo-intellettuale blow-uppiano e il più sfigato degli indie-rocker, e rappresentare al contempo tutta una generazione di musicisti "post" ancora alle prese con un arduo processo di emancipazione dalle lezioni dei maestri del genere. Impossibile, salvo essere i soliti immancabili nostalgici delle ruvidezze della prima ora, trovare punti deboli in un disco praticamente perfetto, giustamente intelligente, giustamente emotivo, giustamente orecchiabile, dove il noise-rock degli esordi convive pacificamente con l'indie più melodico. Con in più quel giusto tocco di furbo avanguardismo che non stona mai, ma anzi ci fa sentire tutti più ganzi. Senza dimenticare poi, nè quella giusta dose di nevrosi metropolitana che fa tanto giovane yeah yeah, nè quella ancor più giusta onirica spinta evasiva che le fa da inevitabile contraltare.

Ma che volete di più? "In an Expression..." è il formidabile affresco di una gioventù confusa ma costruttiva, schiacciata dai controsensi del nostro tempo, ma non così tanto da vedersi costretta a deviare verso oscuri binari del nichilismo. Difficilmente vi capiterà di annoiarvi durante l'ascolto di questo album in cui tutto è dannatamente al proprio posto, nel posto giusto, nella giusta misura. Ed è proprio nel dosaggio degli ingredienti che l'opera in questione, una miracolosa armonia fra pulsioni diverse e contrastanti, un fumoso coacervo di frustrazioni, ossessioni da salotto borghese e provvidenziali esplosioni emotive, si rivela innegabilmente vincente. Ovunque vi troverete, state certi che i Blonde Redhead anticiperanno i vostri bisogni, asseconderanno le vostre voglie, e con una naturalezza tale che alla fine proprio non ve la sentirere di tacciarli di ruffianeria: i pieni si susseguono ai vuoti, i vuoti ai pieni, e quando il tutto suona eccessivamente mieloso, ecco che si torna a graffiare in decostruenti involuzioni di shellachiana memoria. Ma il gioco non è così semplice come sembra.

L'opener "Luv Machine" è un po' l'emblema dei Blonde Redhead targati 1998: il miagolio isterico di Kazu, che fra urletti da collegiale arrapata e lagne eschimesi ci accompagnerà per tutta la durata dell'album, è il piatto forte della serata, e pazienza se il povero Amedeo vedrà le sue incursioni vocali drasticamente ridimensionate. Le chitarre dei due, comunque, s'intrecciano che è una bellezza, e il basso, dicono, non c'è neppure, anche se secondo me c'è: potremmo aprire un forum al riguardo. Un plauso infine al buon Simone, il cui bacchettare, seppur non risultando mai eccessivamente intricato, accompagna con fantasia e precisione le evoluzioni soniche delle chitarre, sia dove esse, distorte, ci graffiano le orecchie; sia dove, effettate, ci stuzzicano il cervello: sia dove, arpeggianti, ci cullano in passaggi di sognante malinconia.

I suoni, poi, risultano così levigati da mettere in risalto il più insignificante dei dettagli. Buone, in definitiva, la capacità di sintesi e la capacità di analisi. Ma che volete di più? Si capisce, il tutto suona un tantino cerebrale, inaugurando il progressivo processo di congelamento emotivo che caratterizzerà in futuro la band, ma, del resto, cosa rimproverare a dei musicisti che sanno suonare, hanno le idee e non vogliono evidentemente affogare il frutto del loro sudore in assordanti fiumi di feedback?

E poi, una volta accettata e compresa questa marcata tendenza al controllo certosino delle dinamiche soniche, evidentemente a scapito della spontaneità, credetemi, non c'è veramente tempo per deludersi, nemmeno ad essere cattivi: se "10", nel suo tappetino di elettronica incespicante e fischi di chitarra assortiti vi apparirà, per esempio, un tantino artificiosa, c'è subito il riff di "Distilled" ad investirvi ed inebriarvi di giovanile verve, nemmeno fosse il 91! "Missile ++", vi delizierà invece per la sua irresistibile semplicità, e se dopo un po' troverete stucchevole l'ansimare di Kazu, ecco che arriva provvidenzialmente "Futurism vs Passeism part 2", trascinante-epica-visionaria cavalcata che vede la presenza dietro al micofono di Guy Picciotto (dei Fugazi), anche produttore dell'album, che si lancia in un suggestivo recitato in francese.

E se poi, di contro, sentirete la nostalgia per le lagnanze di Kazu, ecco l'immancabile regressione infantile di "Speed x Distance = Time": arpeggi obliqui, ninna-nanna bjorkeggiante e tempi dispari. E quando tutto appare eccessivamente smielato, ecco la titletrack a svelarci il lato più audacemente avanguardistico dei Blonde Redhead: sei minuti di ossessiva nevrosi post adolescenziale improntata su batterie incespicanti, plettri che raschiano le corde e le improbabili evoluzioni canore della giapponesina, che si divide fra gli orgasmi di una lolita in calore, i vagiti isterici di una partoriente e l'allucinato salmodiare di un rituale post-moderno. Ma cos'è l'"inesprimibile"?, potremmo chiederci durante il susseguirsi di queste note. Forse quella cazzo di voglia di piangere e ridere, di scopare, piacchiare, di fottersi un gelato e di dare un calcio in culo al proprio cane che ci piglia tutt'insieme e non ci sappiamo spiegare?

Tu, ragazzo spettinato con la maglia a righe, so che mi capisci, quanto agli altri, ed in particolar modo tutti coloro che dal sottoscritto si aspettano ben altro, beh, vi posso rammentare che la Morte non si dimenticarà di voi. Ma oggi è estate, inforchiamo le infradito ed andiamo al mare. Per un giorno dimentichiamoci noi di Lei. Tié!

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