Dopo che con il primo album avevano esplorato la fine di colui che è debole ("The Weak's End") e dopo che con il successivo "The Question" si erano posti una domanda affermativa, adesso gli Emery se ne escono con un riferimento esplicito alla caducità della persona, quella di essere semplicemente un uomo, con ciò che implica e comporta.

Che i ragazzi stiano cercando di farci capire, utilizzando metafore neppure troppo sofisticate, che li dobbiamo considerare con tutte le loro manchevolezze, con tutte le loro pecche, con tutti i loro limiti e con tutto il loro essere fragili e indifesi? Magari, se questo lo si applicasse alla vita quotidiana, nei confronti del divino e assimilati vari, si potrebbe anche non tenerne conto, ma il dramma, per gli Emery, è che quanto appena affermato trova una corrispondenza terrificante nella musica che compongono e ci sottopongono. Perché ad essere debole, privo di spessore creativo, limitato e non degno di porsi di fronte agli ascoltatori con la coscienza pulita, è proprio il sound che ci propongono in "I'm Only A Man". Già si potevano a malapena annoverare nella categoria dei mestieranti atti a duplicare le idee altrui, ma ora hanno provato a sfidare se stessi e si ritrovano con le ossa rotte.

La scelta di proporre canzoni orecchiabili per fare presa su un pubblico più vasto (di sicuro non quello europeo) e magari inserirsi nelle chart alternative e non solo si rivela perdente su ogni fronte. Banalità pop hard rock con sporadici innesti elettronici, un pò di chitarre acustiche, qualche ventata di vecchiume screamo, emo e metal-core giusto per far capire che possono ancora presentarsi travestiti in quel modo, un paio di rimandi ai New Order e via di questo passo verso una mediocrità zuccherosa sconfortante.

Non vedo possibilità di recupero.

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