Questa è la storia (vera o no toccherà a voi stabilirlo) di un segreto. Ora, è universalmente riconosciuto che i segreti son fatti per essere taciuti, ma è il vostro giorno fortunato, e voglio che la verità illumini anche voi. Scusatemi se salto le quattro vergognose parole sull’altra storia (quella vera, suppongo siate già ampiamente documentati) di Ira Kaplan e Georgia Hubley (più James McNew). Magari qualcosa ne uscirà, abbiate pazienza.

“In ogni cosa, amico mio, la fine è importante” diceva il detto samurai, ed io gli ho creduto fin dall’inizio. La fine di quel dischetto piratato fu l’inizio della storia che vi racconto e “Psychedelic sound of Peppino” il dischetto in questione, prestato da un amico.
“Night falls on hoboken” partì lenta, richiami soffusi in lontananza, riverberi leggeri e percussioni gentili che mi parveno subito provenire da qualche isola speduta. Accidenti – pensai – sto vagando dall’altra parte del mondo. E in effetti l’effetto fu questo; ma a mano a mano che la canzone avanzava (qui entra la voce, soave e inumana, quindi gentilmente in disparte lascia il posto ad un basso a spasso per catacombe) il mio viaggio proseguiva e il mondo sempre più piccolo ai miei occhi. Ecco che le percussioni si allontanano, la voce sparisce e non riappare più, sta volando anch’essa; ecco che la chitarra si liquefa, gira intorno poi ritorna e insomma dov’è stata? Ecco suoni che non distingui, e la tua mente si fa coraggio e tenta di seguirli per capire. La mente non può avere un attimo di tregua o tutto scivola via e scompare. Io ce la feci. Ce l’ho sempre fatta. 17 minuti e 47 secondi dopo tutto si spense ed io pensai: devo avere quest’album: io so la verità. Gli Yo la tengo sono alieni. Alieni venuti sulla terra per suonare la loro musica, e nessuno l’ha mai scoperto. Diventerò ricco e famoso.

Quando “And then nothing turned…” fece la prima comparsa nel mio stereo l’impatto fu notevole: “Everyday” stendeva un tappeto di riverberi e malinconia perfetta per le mie notti, come un dondolo in perenne movimento sotto un cielo per sempre sereno. Il resto non era altrettanto perfetto ma si difendeva piuttosto bene, tranne per una “You can have it all” cover smaliziata e stupidina di una hit disco di metà 70’; a bilanciare il torto ci penserà la successiva “Tears in your eyes”, poetica preghiera per anime fragili (“anche se tu non lo credi, io so che sei forte; ricorda: prima o poi l’oscurità diventa luce”). Come Velvet underground intinti nel sangue My bloody valentine; acido Jesus and Mary Chains che scorre nelle vene di Leonard Cohen; come dei Lambchop che passano lsd ai Mazzy Star. Tutto molto bello, ma non poteva bastarmi. Nulla poteva più bastarmi.
Nulla, insomma, che facesse pensare agli alieni. “Devo avere dell’altro, dell’altro dannazione”. Quindi venne “I hear the heart beating as one” e fu pure peggio. “Dove sono, dove sono, dannazione?” Ero lo scienziato pazzo delle mie paranoie. A ritroso nulla mi venne in sollievo e anzi l’opposto dato che l’unica variazione significativa nella mia vita fu il conto in banca.

Gli anni son passati e la convinzione che gli alieni abbiamo rapito Ira Kaplan e consorte nelle sedute di “Night falls on hoboken” non mi ha ancora abbandonato ed anzi si fa sempre più forte, come sempre più forti si fanno le voci all’interno del mio quartiere che parlano di un ragazzo a spasso per il cielo, con le braccia spiegate, nelle notti più limpide e serene e di una musica che proviene soffusa dalla mia stanzetta.

“In ogni cosa, amico mio, la fine è importante”. Ahimè magari non ci fosse, una fine.

Carico i commenti... con calma