Che fosse bravo lo si sapeva. E in questi anni Davide Bernasconi, in arte Davide Van De Sfroos, lo aveva pienamente dimostrato. Una serie di dischi riusciti: da “Breva e Tivan” a “E Semm Partì”, passando per il “Laiv” (titolo rigorosamente lariano) e arrivando allo splendido “Akuaduulza”.
Eppure Fino ad “Akuaduulza” questo autore mi appariva un onesto mestierante, uno che aveva trovato una sua strada, che aveva regalato dei bei pezzi, alcuni molto divertenti da cantare in compagnia… perché anche se si è emiliani quel dialetto ruspante lo si capisce bene. E quelle figure sono simili a quelle che vedi in molte osterie dell’Appennino.

“Akuaduulza” era altro. Un disco prezioso, caparbio. Legato da una capacità narrativa che avvicinava la struttura a quella del concept album. Il tutto impreziosito da stupende canzoni quali la stessa “Akuaduulza”, “Fendin”, “Il Libro del Mago”.  Un disco apprezzatissimo da molti. Uno di quegli album che impongono all’autore di non sbagliare il passo successivo.

Ed ecco arrivare, due anni dopo, “Pica”.

“Pica” rappresenta al meglio quello che l’Italia non sa più fare: fermarsi a osservare prima, a pensare poi. “Pica” è la consacrazione definitiva di un cantautore ancora troppo sottovalutato.
Van De Sfroos è sempre stato un abile affabulatore, ma in questo disco il suo maggior pregio è quello di arrivare a un tale livello di osservazione da far sembrare il disco un unico quadro. O forse un film, un po’ a colori e un po’ in bianco e nero.

Tutto il disco è un piacevole susseguirsi di storie di uomini coraggiosi. Come quella del Cimino che si butta nel lago di Como per non esser preso dalla Finanza. Risultato: “tuffo da delfino l'impatto come un'orca e l'ha batüü anca el record del Maiorca”.
Ma il coraggio è anche quello di due ragazzi che si amano da sempre, e che mai hanno avuto la forza di baciarsi. Il testo di questa canzone, “Luna de Picc”, è uno strano mix di poesia onirica e realistica al contempo: “Ti amo anche se c’hai il culo come un frigo / ti amo anche se non te lo dirò mai…”.

Un’altra canzone, già sentita in alcuni live del cantautore, è “Il Minatore di Frontale”. Una ballata intensa. Un grido che arriva al cuore, martellante come il ritornello. Siamo sempre in Lombardia, ma potremmo essere in America (potrebbe essere un Amerigo) o anche in Belgio. Il dolore non ha confini. E picchia sempre duro.
La vicinanza a un mondo di umili, a pezzetti di storie uniche e dolorose, è manifesta. "Pica" è un disco da avere assolutamente, da fare proprio per avvicinarsi alle cose con sguardo coraggioso. Diventa una specie di medicina contro il mondo in rovina. Pioveranno anche “aghi da lassù e saremo bambole voodoo trafitte in ogni punto ormai”, ma bisogna pure che le trombe a New Orleans suonino di nuovo.

John Fante scriveva: “il deserto era un bianco animale paziente, in attesa che gli uomini morissero e le civiltà vacillassero come fiammelle prima di spegnersi del tutto. Intuii allora il coraggio dell'umanità e fui contento di farne parte”.

Le parole di Van De Sfroos aiutano a sperare, anche se‘ sta cazzo di valle di lacrime sembra non finire mai. Il resto è musica. Da ballare. Senza pensare a nulla.

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