Lo so, ormai ne avete le tasche piene. Lo so, dovrei uscire un po' di più a giocare, chessò, a pallone. Lo so, basterebbe anche che uscissi solo con qualche amico, tanto per evitare di riempire le pagine del DeAmatissimo sito. Ma vabbè, ormai ho già accettato tutte le condizioni e sono nella pagina di scrittura, quindi scrivo e vi sorbite anche questa recensione.

Il Consorzio Acqua Potabile (CAP per gli amici) è uno di quei gruppi progressive italiani (come odio dire "progressive", posso dire che sono "rock sperimentale"?) rock sperimentale, dicevo, che pur suonando dal 1971, è riuscito a trovare spazio discografico solo decine di anni più tardi, grazie alla misericordia dell'etichetta "Kaliphonia" che, in quel di Novara nel 1993, ha pensato : "ma sì, male che va tra vent'anni, con una nuova ondata di prog-revival, vendiamo i cd invenduti!" e così inizia la nuova avventura del CAP con due pubblicazioni nel 1993 ("Sala Borsa live '77" e "Nei gorghi del tempo") che lanciano la band nel nuovo panorama del rock sperimentale. La pubblicazione successiva avviene nel 1998 con una formazione rinnovata (non ho scritto quella vecchia, va bene, ma mica sto parlando degli album del '93!) che vede all'opera Maurizio Mercandino (voce), Romolo Bollea (tastiere), Maurizio Venegoni (tastiere), Fabrizio Sellone (tastiere), Massimo Gorlezza (chitarra), Chicco Mercandino (chitarra), Luigi Secco (basso) e Luca Bonardi (batteria); l'album in questione si chiama "Robin delle Stelle" e se lo ascolterete mai, ringrazierete la Kaliphonia di aver rilanciato il Consorzio Acqua Potabile.

Ora, il disco non risente affatto dell'influenza degli '80 e dei '90: si tratta di puro rock sperimentale di stampo settantiano, anche se qualche suono può apparire più moderno (la chitarra o la batteria), è chiara l'intenzione del gruppo; peccato per il mixaggio che non rende pienamente giustizia a tutti gli strumenti (ad esempio la grancassa della batteria dovrete un po' immaginarvela), ma l'album si lascia ascoltare senza sforzi nevrotici e volumi estremi. Dalla tradizione settantiana, il CAP porta con sè anche quelle odissee musicali che durano settimane o mesi : non potreste passare quei mesi in modo migliore. "Soli sull'Olimpo" svetta su tutte con i suoi 18 minuti, ma come una di quelle 35enni prorompenti del negozietto in centro, ne dimostra almeno 15 in meno per facilità d'ascolto e capacità d'immersione (un classico: "ha 2 seni ed un didietro..." -non voglio essere troppo volgare). La composizione è avvolgente, immersiva, suadente. Ad ogni variazione non si può fare a meno di esclamare :" però, và che roba!" Pensate che questo discorso è valido per ognuna delle 5 canzoni del disco (solo 5? Sì, però il disco dura più di un'ora, per la vostra gioia). Con tutto il mio impegno e la mia buona volontà sono riuscito a trovare insipido solo il pre-finale dell'ultima canzone "Robin...Again", un arpeggiato di chitarra con una linea vocale che ho ritenuto applicabile ad un cartone animato della disney. Il resto è da pagine di storia. 

Semplicemente doveroso ascoltarlo,  senza lasciarsi spaventare dalla durata delle canzoni o dai luoghi comuni sul rock sperimentale (rock sperimentale, rock sperimentale, rock sperimentale). Digeritelo. Dai testi alla musica. Diverrà ben presto parte del vostro organismo e potrete vantarvi come se aveste conquistato la 35enne del negozietto.

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