Svizzera, 1956. Un pugno di Paesi Europei crea, sulla falsariga del Festival della Canzone Italiana di Sanremo, una manifestazione internazionale, il cosiddetto Eurovision Song Contest o Concours Eurovision de la Chanson, in Italia ribattezzato subito Eurofestival. Sono sei Paesi dell’Europa cosiddetta libera: Svizzera, Olanda, Germania Ovest, Francia, Belgio, Lussemburgo e Italia; la Cortina di Ferro divide il continente e mai e poi mai un Paese del blocco sovietico si sognerebbe di partecipare ad una manifestazione tanto squisitamente frivola, tanto squisitamente continental-popolare e dal sapore pacifista e "volemose bene". Nessuno mai si sognerebbe di invitare alla manifestazione l’Unione Sovietica, la Cecoslovacchia o gli altri Paesi del Patto di Varsavia.

Cinquantaquattro anni più tardi, la kermesse, considerata tra le più importanti manifestazioni musicali al mondo, approda proprio a Mosca, capitale dell’antico Impero Sovietico: chi l’avrebbe mai detto?

La Russia si è aggiudicata l’onore-onere di organizzare l’evento di quest’anno grazie al trionfo in quel di Belgrado di Dima Bilan, l’anno scorso.

Un’edizione un po’ fuori dal comune, questa: se da una parte arriva un bellissimo messaggio di pace da parte di Israele, dall’altra la Russia riesce ad estromettere dalla competizione la Georgia che aveva presentato la canzone, dei Stephan & 3G dall’eloquente titolo "We Don’t Wanna Put In", gioco di parole chiaramente riferito al presidente della federazione russa in conseguenza dell’invasione delle regioni georgiane di Abkhazia e Sud Ossezia. La Russia adduce come motivazione il fatto che il regolamento della competizione vieta testi politici, mentre la Georgia si difende dicendo che – sebbene l’assonanza tra il verbo Put In e il nome Putin sia palese – la canzone ha comunque un testo che non ha niente di politico. Alla fine la spunta la Russia: viene imposto alla Georgia di modificare il testo della canzone, ma il Paese caucasico si rifiuta e preferisce piuttosto ritirarsi orgogliosamente dalla competizione.

Una delle maggiori critiche mosse all’ESC negli ultimi anni è il fatto che i risultati finali – determinati da un televoto - non premino quasi mai la canzone migliore, ma siano influenzati dalle affinità culturali dei vari Paesi. In altre parole la Bielorussia vota la Russia e viceversa, l’Azerbaigian vota la Turchia e viceversa, idem per Cipro e la Grecia, i Paesi dell’Ex Jugoslavia e così via, portando quindi nelle ultime edizioni ad una progressiva ascesa dei Paesi dell’ex blocco sovietico con conseguente estromissione dei Paesi Occidentali dalla finale o comunque dai "piani alti" della classifica. Per ovviare a questo inconveniente, da quest’anno è stata affiancata al televoto popolare una giuria tecnica: ogni Paese assegna i propri voti fifty-fifty, televoto/giuria tecnica.

Due semifinali vanno in onda il 12 e il 14 maggio, per dar modo ai 42 paesi in gara di contendersi la finale di sabato 16.

Anche quest’anno la qualità delle proposte è estremamente varietaga: si va dalla raffinata esecuzione delle Urban Simphony e la loro bella e brava vocalist e violinista, per l’Estonia, che interpretano "Rändajad" alla decisamente trash "Aven Romale", dei Gipsy.cz per la Repubblica Ceca.

Come già accennato, va citata la lodevole iniziativa di Israele di presentare un duetto tra l’israeliana Noa e la palestinese Mira Awad che interpretano un bellissimo brano parte in ebraico, parte in arabo e parte in inglese dal titolo "There Must Be Another Way". Le splendide voci delle due interpreti si cercano, incontrano, fondono e separano regalando al pubblico un’esecuzione davvero degna di nota, che però non sortisce l’effetto che avrebbe sicuramente meritato: Israele non andrà oltre un deludente sedicesimo posto. Ad essere onesti per me è stata una grande sorpresa vedere che, in sede di scrutinio dei voti, Israele non riusciva a conquistare grandi posizioni: ero sicuro che un messaggio tanto importante e una canzone tanto piacevole sarebbero state premiate dal pubblico europeo, che evidentemente ha preferito delle canzoni più leggere e degli interpreti più giovani e avvenenti.

Degne di nota le gemelle armene Inga e Anush che presentano il brano "Jan Jan". È un pezzo parte in inglese e parte in armeno, un riuscito incontro tra il genere etnico e il pop. Le due gemelle, fasciate in lunghi abiti blu elettrico che per fattura richiamano i costumi tipici caucasici, si muovono specularmente; gli occhi pesantemente truccati e i gesti le fanno sembrare una sorta di duo dark o di piccole streghe. Bei movimenti, bella idea, ma stride col testo gioioso della canzone.

L’Ungheria risponde con Zoli Adok e la sua "Dance With Me": una confluenza di Alcazar, George Michael e GayPride (se poi c’è qualche differenza tra i tre). L’atletico Adok dimostra buone doti di interprete di musical qual è, perché per tutta l’esecuzione salta e balla senza mai steccare. Orribili i costumi, la canzone è abbastanza scontata, non supererà la semifinale.

Come ogni anno la Grecia approda come grande favorita: il bel Sakis Rouvas interpreta "This Is Our Night", forse in maniera un po’ troppo spocchiosa, punita puntualmente dal pubblico.

A dispetto di quanto si potrebbe pensare, l’esibizione più sensuale e trasgressiva è offerta proprio dalla Turchia, anch’essa tradizionalmente favorita, e dalla sua giovane interprete Hadise (presente su DeBaser con la recensione del suo ultimo album) che volteggia sinuosamente sulle note di "Düm Tek Tek". Il palco (enorme ed ipertecnologico) è un’esplosione scarlatta, la giovane, decisamente poco vestita, si contorce e accenna passi di danza del ventre, strusciandosi poi su un altrettanto avvenente e poco vestito ballerino.

Energica è Nelly Ciobanu, per la Moldavia, con la sua "Hora Din Moldova", divertente brano dai sapori decisamente balcanici in cui l’artista canta le lodi del suo Paese. La Norvegia risponde col giovanissimo Alexander Rybak, originario della Bielorussia ma residente in Norvegia dall’età di due anni. La canzone è fresca, carina, l’interpretazione fa capire che il giovane è consapevole di avere grande ascendente sulle adolescenti del suo Paese: ammicca e sorride alle telecamere, conquistando non solo le giovani norvegesi ma anche il resto delle giovani europee. Anche l’ucraina Svetlana Loboda da del suo pezzo "Be My Valentine (Anti-Crisis Girl)" una buona interpretazione. L’intro ricorda vagamente "Four Minutes" di Madonna e Justin Timberlake, e la bella ucraina danza attorniata da quattro gladiatori. Sul finire del pezzo si esibisce anche come batterista in un passaggio decisamente ritmato. Buone esecuzioni anche da parte degli azeri AySel e Arash con la loro "Always" , della maltese Chiara con "What If We" e dell’albanese Kejsi Tola con "Carrie Me In Your Dreams".

Durante l’esecuzione della band tedesca Alex Swings Oscar Sings viene presentata a sorpresa un’ospite d’eccezione: la regina del burlesque Dita Von Teese sgambetta e ammicca assieme alla rappresentanza del suo Paese.

Come da tradizione, finite le esibizioni il pubblico ha quindici minuti per televotare, dopodichè si passa allo spoglio dei risultati con collegamenti da tutti i Paesi partecipanti.

Quest’anno, purtroppo, non c’è grande pathos: Alexander Rybak con "Fairytale" per la Norvegia parte da subito in testa, distaccando di netto le inseguitrici Islanda (Yohanna, "Is It True?"), Gran Bretagna (Jade Ewen "My Time"), Azerbaigian e Turchia. È più emozionante la lotta per il secondo, terzo e quarto posto, che vengono infine assegnati rispettivamente ad Islanda, Azerbaigian e Turchia. Si dimostra, comunque, che l’idea di un reinserimento di una giuria tecnica nei meccanismi di voto è utile: benché il televoto popolare continui ad essere assegnato in base ad affinità culturali, la giuria aggiusta il tiro: è infatti ottimo il piazzamento del Regno Unito, quinto, e della Francia, ottava (lo scorso anno si piazzarono a parimerito all’ultimo posto), e il ridimensionamento di altre rappresentanti che da sempre hanno fatto la parte del leone, quali Ucraina e Grecia, tanto per fare due nomi.

Il trionfo della Norvegia è quindi scontato da subito, ma questo non limita la grande festa che segue la proclamazione di Alexander Rybak cinquantaquattresimo vincitore dell’Eurovision Song Contest. Appuntamento quindi a maggio 2010 ad Oslo.

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