Alle riviste metal devo riconoscere il pregio di aver rappresentato una finestra importante non tanto sulle opere prettamente metal ma per quelle di generi "paralleli", anche se spesso la distanza era considerevole. Così, a fianco a proposte come Dream Theater o Shadow Gallery si potevano trovare accenni a band come Spock's Beard, Flower Kings, Anglagard o anche una storica rivisitazione dei classici progressive.

Questi "compaesani" Presence facevano bella mostra in una recensione, al fianco di individui dai nomi poco raccomandabili e dai generi diametralmente opposti, ma la curiosità sulla proposta che a detta del recensore era straordinaria e la provenienza così a me vicina fece si che quella curiosità iniziale diventasse una vera e propria ossessione. Stiamo parlando di tempi in cui a parlare di internet si veniva presi per pazzi e quindi i famosi ascolti preventivi si potevano fare solo al negozio di fiducia, dietro gli sbuffi del negoziante che era costretto a togliere il cellophane all'unica copia di quel disco, senza pensare che forse sarei stato l'unico solo e possibile acquirente. Se poi al negoziante dovevi scrivere sul foglio il nome "Presence", perché oltre a non conoscerli aveva una conoscenza dell'inglese parificabile a quella di una tribù dell'Amazzonia inesplorata, e lo stesso negoziante a distanza di una decina di giorni, tutto sorridente e soddisfatto, ti presentava una copia di Presence dei Led Zeppelin, allora l'idea che dovevo cercarlo proprio alla casa discografica, la genoana Black Widow, divenne assoluta certezza.

Fu vera gloria? La cosa che mi piace e mi fa anche tenerezza è che qualsiasi recensore metal, abituato a dosi massicce di chitarroni, doppi pedali, acuti e fuoco di drago, nel momento in cui ha davanti una proposta completamente diversa è quasi sempre prodigo di complimenti, di elogi e belle parole per quei suoni così lontani a quello a cui è abituato. Insomma se spesso il metal è un genere testardamente chiuso in se stesso almeno i suoi fruitori hanno visioni più ampie.

Dicevo, posso essere concorde con quel recensore sui Presence? In buona parte sì.

Premetto nel dire che questo disco non è poi tanto lontano da possibili apprezzamenti per gli ascoltatori di band come Nightwish, Evanescence et similia con canto femminile (anche se all'epoca, 1996, probabilmente non esistevano ancora), nonché a coloro che si perdono dietro ai suoni crepuscolari e novembrini di un certo gothic metal.

In perfetta linea con la produzione Black Widow, i Presence propongono un progressive sinfonico con forti venature dark, con un muro di tastiere pompate all'inverosimile (suonate da Enrico Iglio, compositore di tutte le musiche), con il cantato a volte teatrale, a volte lirico di Sophya Baccini e con gli innesti sempre sapienti e mai invasivi della chitarra di Sergio Casamassima.

Dall'opener "The Bleeding" fino a "On Travel" si possono ammirare suoni magniloquenti ed evocativi, a tratti oscuri per poi aprirsi in melodie di ampio respiro supportate dalla considerevole estensione vocale della Baccini (andate ad ascoltarvi "Eye Master"). Spesso la voce della singer diventa così acuta che si ha l'impressione di trovarsi di fronte ad un canto ammaliante di sirena...

Questo viaggio, a tratti sepolcrale, a tratti onirico, si conclude con un omaggio a Giuseppe Verdi, di cui vengono riprese quattro aree ("Tacea la notte placida", "Cortigiani vil razza dannata", "Pace pace mio Dio", "Un dì quando le veneri") ed interpretate nello stile particolare dei Presence. Pur restando sostanzialmente fedeli alle originali sorprende la capacità della band di adattarle al loro sound o forse erano proprio le opere di Verdi ad essere facilmente adattabili, chissà...

Ho perso di vista i Presence, lo ammetto. Sembra che abbiano continuato a fare dischi (all'invero pochi), ma per chi riuscisse a trovare questo sono sicuro che ne resterebbe piacevolmente colpito.

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