Doveva essere la next big thing della chanson française quando appena 19enne spuntò fuori con "Salle Des Pas Perdus", un album leggerissimo, innocuo, certamente non quello che possiamo definire un disco impegnativo. Tuttavia stava proprio in quella semplicità il bello di quel disco, in fin dei conti un debutto positivo a differenza di altre cose che stavano spopolando, come ad esempio Carla Bruni con la sua posa fasulla pseudofrancese e relativo (pessimo) debutto discografico.

La giovane Coralie francesina al 100 % lo è veramente invece, ed anche dell'archetipo più classico: fighetta smorfiosetta dall'immagine intellettualoide, voce che più "gattamorta" di così si muore, ed ovvi richiami alle varie Françoise Hardy e Jane Birkin. Adorabile, ma bisogna riconoscere come si sia persa con gli ultimi dischi, adottando una scontata direzione fin troppo pop (Bye bye beauté), e talvolta giocattolosa nel vero senso della parola (il mediocre Toystore prevedeva proprio arrangiamenti con strumenti giocattolo). Detto questo, il primo album dall'alto dei suoi 40 minuti colmi di brevi canzonette, come tradizione francese impone, merita considerazione se apprezzate certe atmosfere "smooth" e lussoriose.

Chiaramente ispirato alla canzone francese anni sessanta il disco è fondamentalmente una sorta di collaborazione tra Coralie e il fratello Benjamin Biolay, polistrumentista molto quotato in terra nativa, che produce il disco donando alla sorella 13 tracce dove l'acustico fascino parigino e gli arrangiamenti rigorosamente iper-retrò la fanno da padrone in un contesto talvolta indiefolk, dove a spiccare è la seducente voce della sorella.

Si, perchè se da un lato l'operato di Benjamin è ben svolto, e volutamente indietro coi tempi (dal momento che è praticamente impossibile scorgere un barlume di tecnologia sonora) fondamentale è la figura di quest'ultima, che sfoggia una vocina esile e delicata, quasi impalbabile ma dannatamente (e stereotipicamente) sexy nel suo incedere innocente e smanceroso ("Lou", "La mer opale", "À l'occasion tu souris"). Il tutto, manco a dirlo, nel più classico esasperato citazionismo e "sussurratismo" (consentitemi il termine) di Gainsbourgiana memoria

Intendiamoci: il disco, salvo le improponibili "Ça calait la peine" (uno sterile valzerino) e "Le dernier train" (evitabile duetto a-là Je t'aime moi non plus) non si presenta nè come la classica chanson di seconda ondata, smielata ed invecchiata male, tantomeno il ridicolo frenchpop adolescente e smaliziato a-là Alizee. Più facile associarlo invece alle uscite scandinave più classose e intimiste (Hanne Hukkelberg adesempio), o i primi mansueti Cardigans (quelli di Life).

Il denominatore comune è sicuramente la raffinatezza nel senso stretto del termine: infatti se accompagnamenti soft+armonievintage+voce sensuale sono un classico ricorrente e fin troppo abusato del filone, bisogna sottolineare come questa formula -pur essendo spesso iperbolizzata- sappia rinnovarsi mantenendo sempre quel consueto savoir faire, agevolato non poco dai numerosi echi di bossanova franco-brasiliana (specie su "Samba de mon coeur qui bat"), quelli jazzy molto presenti ("La contradiction", "Bientôt", "Le jazz et le gin"), e la strumentazione (quasi sempre suonata da Benjamin) acustica, che tra un sax di qua, un flautino di la e una larga presenza di archi conferisce ulteriore eleganza al debutto di Coralie. Debutto che in parte si è fatto sentire anche da queste parti, con la deliziosa "L'ombre et la lumière" scritta da Keren Ann, (autrice di diverse cose interessanti negli ultimi anni) che fece la fortuna dei ruffiani acts night-relax-addicted come Radio Montecarlo. Meritevole anche "Salle de pas perdus", dall'andamento pacato. Chiaramente non mancheranno momenti troppo smielati e indigesti a metà tra (è soggettivo) melanconico o spaccapalle: in casi come "Ces matins d’été" o "Mes fenêtres donnent sur la cour" io mi schiero sulla seconda categoria. 

Giudizio finale? Molto bello, nel suo genere ottimo (3.5): scorre come l'acqua e si lascia ascoltare davvero volentieri! Dopotutto siamo di fronte ad un disco francese.. ultrapatinato.. gradevole sottofondo.. leggero.. delicato..etc. etc. etc. (chissà perchè quando si parla di questo genere si scrivono sempre le stesse cose). Nulla di pretenzioso, nulla di nuovo, anzi. Ma daltronde non è a questi dischi che chiediamo blastbeat, synth distorti o growl cavernicoli. 

E poi i growl mi stanno sul cazzo.

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