All'interno della discografia dei Black Sabbath, gruppo-leggenda che con gli anni sarebbe stato "saccheggiato" da qualsiasi formazione "pesante", esiste quella che potremmo definire la "trilogia dei sottovalutati", album validi ma che per vari motivi non hanno mai raggiunto lo status di classici, malgrado avessero tutte le carte in regola per diventare non dico delle pietre miliari dell'heavy ma almeno essere inseriti tra i migliori della discografia. Di questa "trilogia" fanno parte "Born Again" (1983), "Seventh Star" (1986) e "The Eternal Idol". Se col tempo intorno a questi lavori si è sviluppato una sorte di "culto" dai parte dei fan più accaniti, mediamente il grande pubblico li ha snobbati senza tanti problemi, imputando, solitamente, ai Black Sabbath post Ozzy di non essere all'altezza degli originali. Il problema, infatti, sta tutto qui: se il gruppo storico ha posto le basi per un modo completamente nuovo di concepire la musica, entrando di diritto nella Storia del rock, dagli anni Ottanta Iommi e soci si dovettero accontentare di essere "solo" un ottimo gruppo heavy. Se a poco più di vent'anni tutti i tuoi amici, chi più chi meno, sono stati capaci di trovarsi un lavoro da operai o al massimo da impiegati nei dintorni della operaia Birmingham e tu invece te ne sei uscito con degli album che faranno storia, è scontato che la gente nei tuoi confronti avrà aspettative enormi. E per deludere il fan "medio" non ci vuole molto: un disco poco convincente, un cambio di formazione non gradito. E così i Black Sabbath, o quel che ne rimaneva, se nei primi anni Settanta erano una sorta di Beatles dell'hard rock, negli anni Ottanta si ritrovano a vivere di luce riflessa, consci sia del nome "pesante" (in tutti i sensi) che della difficoltà di tenere in piedi la formazione.

Dopo essere riusciti a recuperare parte dei consensi con due tour di grande successo che vedevano Ronnie James Dio dietro il microfono, Tony Iommi e Geezer Butler si trovano a dover gestire l'ennesimo rimpasto, aggravato dalla necessità di dover cambiare cantante per l'ennesima volta. E qui arriva il "miracolo". Il manager dell'epoca, Don Arden, padre di Sharon, moglie e manager di Ozzy, interrompe qualsiasi rapporto professionale con i due e da questo momento avrà un unico scopo: rilanciare, per pura ripicca, il nome Black Sabbath. E in parte la cosa gli riesce anche: riportare in formazione un Bill Ward ormai alcolizzato e fargli "addirittura" suonare decentemente quaranta minuti di musica non è da tutti. Ma alla voce? E qui arriva il colpaccio! Ian Gillan, storico "urlatore" dei Deep Purple, amici-rivali dei quattro di Birmingham, è sempre stato in buoni rapporti con Iommi e soci e, dopo alcune selezioni, viene annunciato ufficialmente che sarà lui a prendere in mano il microfono del Sabba Nero. Ma come è andata? Quella che, stando alle dichiarazioni ufficiali, potrebbe sembrare il "matrimonio" dell'anno, cela sotto una realtà ben più semplice e, volendo, goliardica. Iommi, Butler e Gillan si incontrarono in un pub per discutere della cosa e, dopo qualche birra di troppo, la nuova formazione dei Sabbath era pronta. Quando i nostri tornarono sobri, però, a quanto pare la reazione fu qualcosa del tipo: "Oh no, lo abbiamo fatto veramente!". Evidentemente nessuno era realmente convinto che un'operazione del genere potesse avere successo, loro stessi in primis. Lo stesso Gillan, comunque, anni più tardi avrebbe detto che aveva accettato l'ingaggio per una pura questione economica. I Black Sabbath non si smentiscono mai: con un cantante alla ricerca di soldi ed un batterista alcolizzato le condizioni per avere una formazione stabile ci sono tutte. Stabile per i sei mesi successivi, naturalmente. Il risultato di una storia che ormai era più intricata di una telenovela brasiliana fu appunto "Born Again", album tutto sommato buono e che aveva dalla propria parte almeno due brani divenuti veri e propri classici, ovvero il brano omonimo e "Zero The Hero", ripreso anni dopo anche da un gruppo come i Cannibal Corpse, segno evidente che il "saccheggio" di cui si è parlato all'inizio non riguarda il solo periodo con Ozzy. Il disco è pregno di un'atmosfera sulferea, maligna, tanto che sembra quasi di essere tornati ai tempi di quel capolavoro proto-doom che fu "Master Of Reality": Gillan canta come un indemoniato, la sezione ritmica c'è e si sente, Iommi impreziosisce il tutto con ottimi riff. Malgrado ciò però qualcosa non funziona: l'album vende poco e il tour sarebbe stato il primo di una lunga seria da dimenticare, con Gillan che, malgrado l'impegno, non riusciva nemmeno a ricordarsi i testi delle canzoni. Ah, naturalmente Ward aveva mollato per l'ennesima volta (ma sarebbe tornato comunque da lì a pochi mesi) e per l'occasione venne sostituito da Bev Bevan, già noto per l'esperienza con la ELO. Alla fine, però, il vero problema dell'album non era nemmeno il fatto che ci si presentasse con l'ennesimo cantante nel giro di un paio di anni, ma una produzione realmente scadente. Se per anni il marchio Black Sabbath era stato sinonimo, oltre che di grande rock, di qualità, proporre un album con un suono del genere era semplicemente una scelta suicida: chitarre impastate, un basso troppo alto, batteria poco nitida. Come mai? Ufficialmente il master del disco aveva risentito dell'umidità e non si era potuto fare nulla per salvare la situazione. Ed ormai il danno era fatto. Poco importa comunque, tanto "Born Again" sarebbe comunque rimasto un episodio isolato nella discografia degli inglesi: Gillan molla alla prima occasione per tornare con i Deep Purple e i Sabs tentano in vano di trovare un cantante degno di questo nome. Rimane però l'amaro in bocca per un'esperienza che sarebbe potuta essere migliore.

E qui si arriva al paradosso. Da anni ormai circolano bootleg che, oltre a contenere le demo di quel mitico album, presentano addirittura pezzi inediti, rimasti fuori dalla scaletta definitiva. Ma quale è questo "paradosso", vi starete chiedendo? Che la demo ha un suono migliore del prodotto finale. Il suono, naturalmente, non si discosta di molto da quel disco che tutti conosciamo, ma risulta comunque più nitido, più pulito, con i vari strumenti in evidenza: siamo quindi lontani dal "pastone" che, purtroppo, ci siamo ritrovati ad ascoltare. Qua e là, trattandosi di demo, ci sono discrepanze con il lavoro finale, ma si tratta davvero di piccole cose. Potremmo quasi dire che questo è "Born Again" così come "era stato concepito". Come detto prima il tutto è impreziosito da "Fallin'" (nota anche come "The Fallen"), brano assolutamente valido ma che si preferì escludere per far spazio alla evitabile "Keep It Warm". Ed è un peccato, perché si tratta un piccola gemma, un bel brano trascinante, supportato, oltre che da una grande performance di Gillan, da una sezione ritmica davvero ispirata (l'attacco di batteria è terremotante e fa capire quanto Ward avrebbe potuto ancora dare al mondo del rock) oltre che da un Tony Iommi in grande spolvero. Se fosse stato pubblicato l'intero lavoro ne avrebbe risentito in meglio. Manca invece il breve strumentale "The Dark", evidentemente successivo alla registrazione delle demo, ma in compenso è presente una versione di "Stonehenge" ben più lunga di quella poi pubblicata, con le tastiere di Geoff Nicholls suggestive come al solito. In conclusione posso affermare che senza dubbio si tratta di un prodotto interessante, non difficilissimo da trovare e che ci aiuta a capire come, nelle intenzioni, avrebbe dovuto suonare un album purtroppo non sempre apprezzato.


Musicisti:

Ian Gillan: voce

Tony Iommi: chitarre, flauto

Geezer Butler: basso

Bill Ward: batteria


Con la partecipazione di:

Geoff Nicholls: tastiere


Scaletta:

  1. "Hot Line"

  2. "Keep It Warm"

  3. "Fallin'"

  4. "Digital Bitch"

  5. "Stonehenge (full version)"

  6. "Trashed"

  7. "Zero The Hero"

  8. "Born Again"

  9. "Disturbing The Priest"

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