"La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile"

Diceva così lo scrittore Corrado Alvaro, originario di San Luca, un paese che, per il nome che porta, evoca fantasmi di storie cruente, oscure. Storie di sangue, potere, di intere popolazioni soggiogate al volere di pochi, di soldi sporchi che si mischiano a puliti, di zone grigie dove "l'ostentata povertà della gente in certi paesi" (come scrive un giornalista) e quindi l'arretratezza culturale che si compie nella prassi della violenza e della sopraffazione, si mischia all'accondiscendenza di quelle figure della società civile che rivestono le cariche più importanti nell'ambito dello sviluppo e del progresso di un paese. Politici, magistrati, imprenditori, persino forze dell'ordine.
San Luca è infatti il cuore della ‘ndrangheta, la cosiddetta "Mamma". In un modo o nell'altro tutte le scelte (dall'affiliazione, al sancire l'inizio di faide, alleanze territoriali ecc.) devono essere prese in esame nella culla della ‘ndrangheta.

In questo libro Felice Manti (scrittore per "Il Giornale") e Antonino Monteleone (che si occupa a tempo pieno di studiare da vicino il fenomeno) ricostruiscono l'ascesa della ‘ndrangheta fino al trono della capitale economica dell'Italia, ovvero Milano. Il risultato è interessante, ed è stato conseguito avvalendosi delle informazioni ricavate da una attenta analisi di carte processuali, fascicoli informativi e atti della procura (di Milano come di Reggio Calabria), ma anche dal rapporto colloquiale con alcune figure che si muovono in questo ambito in maniera silenziosa e scrupolosa. 

La storia
In principio era la triade: Don "Mico" Tripodo, Don "Mommo" Piromalli e Don "Antonio" Macrì. In principio era una ‘ndrangheta ancora legata alla convenienza del contrabbando di sigarette, delle estorsioni ai piccoli e grandi esercizi commerciali, dell'usura. Poi arrivano i grandi affari: la droga, il cemento e con essi i sequestri di persona per ammonticchiare denaro. La ‘ndrangheta in poco tempo da realtà quasi rurale diventa realtà imprenditoriale, inizia a contaminare seriamente il mondo delle cariche istituzionali e si espande al di fuori dei confini regionali. Nell'arco di tempo che comprende queste grandi evoluzioni, le alleanze e le dinamiche del potere sono sancite da ben due guerre di mafia. La prima determinerà l'apertura a mercati nuovi e più convenienti. Le nuove generazioni subentrano a scapito delle più vecchie. La seconda, nata a seguito di forti contrasti tra le più potenti cosche per la spartizione di grossi appalti, suggellerà l'evoluzione definitiva. Quella del rapporto di maggior cooperazione tra le ‘ndrine e la costituzione della cosiddetta piramide piatta. La triade De Stefano, Condello, Libri come organo amministrativo "squisitamente" di riferimento e prestigio. Non dunque una cupola, in quanto la natura stessa della ‘ndrangheta presuppone un controllo di quasi tutto il territorio, compreso nelle varie province, da parte di singole famiglie (le ‘ndrine appunto) che dividono e spartiscono le zone di influenza.    

Tutto quello che riesce a ottenere la ‘ndrangheta lo ottiene con la violenza. Una violenza arcigna, che non conosce capacità di mediazione quando si tratta di diventare esclusivisti in uno specifico ramo del mercato. Racconta il pentito Fiorenzo Loforese: 
"Ero un bravo trafficante, il più bravo sulla piazza di Milano. Trattavo eroina e ne arrivavano venti chili ogni quindici giorni. Rifornivo la Lombardia, e giù fino alla Versilia. Trattavo alla pari coi turchi, e loro se lo chiedevi ti portavano i quintali. Bastava chiedere. Gente strana i turchi. Poi sono arrivati quelli di Corsico, i calabresi di Platì e alla fine il gioco è finito. Arrivavano i camion e loro ammazzavano l'autista. Arrivavano gli intermediari a prendersi i soldi e loro li mandavano all'altro mondo. E' durata dieci anni, poi anche i turchi si sono incazzati. Sono stati i calabresi di Corsico a iniziare questi cazzo di casini, sono stati loro a fregare nel piatto dove si mangiava in cinquanta. Hanno voluto mangiare da soli, e ci hanno sputtanato. Io i calabresi li ho conosciuti bene. E ve lo posso dire: i calabresi sono tutti bastardi. Se gli metti le spalle al muro si mettono a sparare"
Non solo. La ‘ndrangheta è la più potente organizzazione criminale in Italia e forse in tutta l'Europa. Questo è stato possibile grazie ai rapporti privilegiati con i principali narcotrafficanti che si muovono tra i cinque continenti, alla scarsa attenzione mediatica (qualcuno di voi sapeva che recentemente sono stati scarcerati due boss per decorrenza dei termini nella consegna dei faldoni accusatori?), all'apparente impermeabilità dovuta al rigido sistema di reclutamento tra le proprie file e al legame di sangue tra affiliati, che porta ad una quasi totale assenza di pentitismo. Ed ovviamente grazie alle diffuse logiche di omertà.

I riti
Anche il famoso rito di affiliazione si è difatti plasmato nel tempo fino a determinare la costituzione in primis della "santa" e poi del "vangelo" come organo collegiale superiore a cui solo pochi possono accedere e che permette, a differenza delle antiche ritualità, di entrare in contatto anche con le cariche istituzionali. Questo ha fatto sì che principi vetusti non soffocassero o compromettessero la libera aspirazione criminale delle nuove generazioni.

La zona grigia
Ma questo libro riesce soprattutto a dare un'idea di come il sistema messo in atto dai boss calabresi per garantire un futuro prospero di affari, sia assolutamente efficace e molto difficile da combattere e da sradicare. Perché così come la ‘ndrangheta ricicla i soldi derivati dai proventi delle attività illecite in attività legali (da qui anche l'interesse delle imprese a dichiarare ogni centesimo per eludere l'attenzione del fisco e quindi rendere non tracciabili i percorsi originari del denaro), così i figli dei boss vengono iniziati al mondo dell'imprenditoria criminale non partendo da semplici soldati, ma diventando avvocati, gestendo le imprese "pulite" della famiglia, facendo affari e fungendo da intermediari dei clan con politici e imprenditori.
Sullo sfondo Milano e Reggio Calabria legate da un filo invisibile che viene tessuto con grande pazienza. Ma anche storie di servizi segreti, di massoneria deviata, di magistratura messa alle corde, dei moti di Reggio Calabria. Storie che hanno come minimo comun denominatore la ‘ndrangheta.
A tal proposito consiglio anche la lettura del libro "Fratelli di sangue" di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, un vero e proprio saggio che ricostruisce in toto la storia e la mappatura in Italia e nel mondo delle cosche calabresi.

Conclusioni
E intanto noi qui, che aspettiamo che lo stato elemosini qualche risorsa in più a favore dei corpi investigativi, a sperare per l'ennesima volta che Dio ce ne scampi dalla legge sulle intercettazioni o a maledire lo scudo fiscale et similia.

Serve una forte presa di coscienza da parte di tutti, ma soprattutto da parte di noi normali cittadini e non è il solito modo di dire. Perché tra poco saremo del tutto in balia di noi stessi. E saranno cazzi veri.

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