Ricordo che durante il tragitto casa-nagozio prima di comprare l'ultima opera dei Van Der Graaf, il mio iPod in random mi propose Pilgrims. E fu la benvenuta perchè sì, per me era proprio un pellegrinaggio.

 

Ma partiamo dalla copertina. Il fortunato possessore potrà ammirare il nome della band di Manchester su uno sfondo azzurro composto dal codice binario. Salta dunque subito all'occhio il tema che ci accompagnerà durante l'ascolto: i numeri. Pare infatti che la data ufficiale d'uscita, il 16 marzo, sia un riferimento alle prime cifre del pi greco. Eccolo dunque: un fondamento nei numeri. Bello il booklet, molto colorato. Il simbolo composto dalla terra è lo stesso che si usa quando si avverte che la corrente va scaricata al suolo.

Passiamo all'acquisto. Va subito detto che a differenza di "Trisector", qui il gruppo non si poggia solo su organo, batteria e un pò di basso, ma decide di inserire anche la chitarra di Hammill (la vecchia Meurglys per i nostalgici). Un ruolo rilevante della chitarra non lo riscontravamo dal primo e forse dal secondo album, oltre che nel precedente. E' vero però che solo in alcuni brani è presente, peraltro sempre elettrica. Ma non è l'unica novità di questa release: forse il più grosso colpo di scena è che tutte le tracce dell'album sono firmate Banton/Evans/Hammill (anche se a giudicare dai testi credo che essi siano ancora appannaggio del cantante); questo porta ad un parziale quanto salutare cambio d'atmosfera. Il mixaggio di "A Grounding In Numbers" è affidato a Hugh Padgham, vera e propria eminenza grigia del Progressive (chi non ricorda i suoi superbi lavori coi Genesis?), che rende il terzetto equilibrato durante l'ascolto e fa risaltare bene tutti i (pochi) strumenti su esso presenti. Come al solito il piano è suonato da Hammill e Banton tesse i suoi immortali fraseggi all'organo. Banton si occupa anche del basso, e sono rimasto piacevolmente sorpreso quando lessi che è in grado di suonare il basso a 10 corde (!)... ma d'altronde non sono un gruppo qualunque.

Questo è il primo album del gruppo in cui nessun brano supera gli otto minuti, ma questo non dovrebbe spaventare in quanto ci può essere più pathos e progressione in una strumentale di due minuti che in una lunga suite. Le prime tre tracce costituiscono la più moderna proposta dei VdGG. Your Time Starts Now infatti è caratterizzata da un avanzamento piuttosto lineare che ai fan risulterà forse strano al primo ascolto, ma è un pezzo molto fresco, tra i migliori. Il mood del brano è stranamente quasi solare e calmo, ma non allarmatevi troppo. Funge da introduzione. E' comunque un lato del generatore poco esplorato, no? Mathematics è una traccia indescrivibile: dovete ascoltarla. Propone un ritornello che non sono nemmeno in grado di trascrivere a computer... Per tema potrebbe essere quasi considerata la title-track. Buona la prova di Banton che riproduce qualcosa di simile ai suoni di un calcolatore elettronico. Highly Strung spiazzerà i vecchi fan, credo. Qui le tastiere sono poco evidenziate e una chitarra distorta e nervosa guida la canzone fino ad un ritornello stranamente (per il gruppo) classic rock. Pur essendo una delle tracce che mi piacciono di più, è forse quella che approvo meno. Non è il loro stile, ma non è un problema. Soltanto non vorrei si incamminassero in quella direzione. C'è da dire che nelle prime tre tracce troviamo, al di là degli onnipresenti cambi di tempo, un generatore che non va certo al massimo delle sue possibilità esecutive, soprattutto per quanto riguarda il drumming, anche se è ad un buon punto sul piano compositivo. Ma non pensiate che il trio sia composto da stanchi vecchietti! Siamo di fronte ad un "risveglio" di Evans che nella breve Red Baron, un atmosferico pseudo-assolo di percussoni, dimostra di non essere affatto un rottame. Red Baron introduce l'inusuale Bunsho, in cui ritroviamo la chitarra elettrica a dar man forte al resto dei componenti. Nella prima parte essa è una specie di ballata per chitarra, ma essa si trasforma presto in un forte pezzo che si avvale degli arzigogoli di Evans in alcuni punti veramente irresistibili. Ma nonostante gli aspetti positivi, essa si disintegra anche al confronto con pezzi come Not Here, da "Trisector". Molto meglio allora Snake Oil, trascinante e ben cantata. Secondo me se Jackson fosse ancora nel gruppo, questo brano con qualche assolo si sarebbe potuto trasformare in un lungo e bel pezzo, invece qui si accontenta del "rango" di mini suite; dico questo soprattutto a causa del testo. Siamo di nuovo di fronte ad un pezzo duro, che mette molto in secondo piano la chitarra a favore del redivivo organo, molto heavy qui. La traccia sette è Splink, che ha un atmosfera prima quasi calda che si trasforma in qualcosa di spaventoso. Lodevole la presenza di strumentali in quest'album. Infatti, escludendo Theme One, gli ultimi veri strumentali risalgono addirittura al primo album. Splink presagisce il ritorno definitivo del sound a quel claustofobico progressive rock che ha reso famosi (?!?) i Van Der Graaf Generator.

Si inizia dunque con Embarassing Kid, violentissima e cupa, particolare nel suo dispiegarsi contorto e nel testo al solito incredibilmente estraniante. Il generatore gira a pieno regime e ciò che ne esce è un pezzo altalenante nella sua interezza e perfetta consequenzialità, i cambi di tempo e gli improvvisi stop sono qualcosa a cui Evans ci ha abituato e che accogliamo con immenso piacere (parlo per gli appassionati, credo). Si continua alla grande con Medusa, la più breve e probabilmente la più riuscita creazione dei VdGG in quest'album, semplice ma paurosamente espressiva e complessa allo stesso tempo. Stupendo l'organo tormentato à la Godbluff che rende il tutto più drammatico. In due minuti, un estratto dei sentimenti che Hammill può scatenare. Medusa lascia il posto alla "classica" Mr. Sands, tipico componimento della prima reunion, con un testo molto evocativo e un andazzo irresistibile per chi ama "Still Life" o "World Record". Il gruppo dà nuovamente prova di essere tra i più ferrati al mondo con i loro terribili e cangianti riff, un songwriting che definire originale è poco, e l'irripetibile sensazione di chiusura e oppressione che accoglie l'ascoltatore nei loro migliori pezzi. A seguire abbiamo una coppia di tracce molto particolari. La prima, Smoke, è quasi psichedelica, con i suoi molteplici strumenti (solo Banton qui è alle prese con Harpsichord, piano, glockenspiel, basso e perfino chitarra) e la  sua terribile marcia baldanzosamente macabra che dietro una facciata di gaiezza cela una non troppo nascosta ombra di follia. Si prosegue con 5533, che è così attorcigliata siu se stessa che nemmeno Hammill riesce a cantarci sopra ed è costretto a trovare una linea vocale sua. ciò rende tutto ancora più alieno, non ultimo il fatto che viene riproposto il tema "numerico" che è possibile riscontrare anche altrove nei brani. Hammill qui ha il coraggio (e l'ambizione) di cantare schemi algebrici... molto progressivo. L'ultima traccia del lotto è la splendida All Over The Place, che porta ad untro livello la band di Hammill. Un ottimo testo dà alla canzone, la più lunga di tutte, un atmosfera elegiaca. All Over The Place è un must per i fan dei Van Der, perchè rivisita i vecchi stilemi dei capolavori con la cornice del nuovo stile.

In definitiva, "A Grounding In Numbers" è un signor album, che mostra come Hammill e soci non indugino sotto gli allori ma si migliorino costantemente e come siano intatti nelle loro abilità musicali anche dopo lustri di tour. In particolare la prodigiosa conservazione della voce di Hammill ha un che di miracoloso. La sua estensione pare non essere stata toccata dal tempo: la sua voce si riconferma come la più dotata d'ampiezza che il mondo conosca. Riguardo all'assenza di Jackson, qui è stato semplicemente dimostrato, come nel primo album, come non sia compositivamente necessario per la completezza della scaletta. E davvero sono molti a mio parere i punti di contatto di AGIN con The Aerosol Grey Machine, non ultimo il ritorno delle sonorità psichedeliche. Inoltre la presenza di tracce non "oscure" è un altro aspetto in comune. Forse non un masterpiece della band, ma certamente alcune delle canzoni hanno le caratteristiche del capolavoro, per me Mathematics, Medusa e All Over The Place (e forse Snake Oil), che vanno ad aggingersi ad altre bellezze post-reunion come Every Bloody Emperor o Over The Hill. Tutto ciò mostra come i Van Der Graaf Generator non si siano riuniti per questioni finanziarie, anzi.

Un discreto album Progressive e molto discreto per i Nostri. Ascolto consigliato per i fan del genere, quasi obbligato per i fan del gruppo. Per essi prevedo quasi 50 minuti di paradiso!

Ok, la faccio finita. Nel caso non si fosse capito è la mia prima rece, quindi potete pure andarci giù duro..

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