Il deserto non è solamente un luogo geografico, il deserto è qualcosa che abbiamo dentro... è un luogo dell'anima.

Si può non essere mai stati nel deserto ed avere la chiara sensazione di conoscerlo perfettamente come l'angolo dietro casa o l'improvvisato campo da pallone dove avete trascorso migliaia di ore a sudate dietro ad un Tango. Ognuno di noi ha avuto il proprio deserto dentro, chi solamente per una decina di minuti, chi più a lungo... e chi come il sottoscritto come habitat naturale e costante lungo la propria formazione. E ripeto non ci ho mai messo (fisicamente) piede a Rancho de la Luna nei pressi del Joshua Tree (anche se forse, ora, sembrerebbe arrivato il momento di farlo) ed immaginate lo stupore dei miei neuroni e nervi la prima volta che ascoltai Gardenia   Thumb o Whitewater... finalmente qualcuno che aveva esplicato e reso tangibile quel mio umore nascosto, quelle mie sensazioni e certi stati d'animo e di mente.

Andai subito alla ricerca di tutto lo scibile e l'ascoltabile su questi giovani capelloni americani, che tanto assomigliavano agli "eroi" di flanella che riempivano le pagine, i giornali e l'etere di dell'epoca, ma quanto erano distanti da loro nell'immaginifico mondo che creavano, pur avendone in comune le radici storico/musicali e quasi rimbalzai contro un muro di gomma, poche (pochissime, ricordate che per l'avvento della rete sarebbe passato ancora un lustro, almeno) informazioni, un immaginario quasi mistico intorno alle loro figure, meglio dire fumoso... ma poco importava, c'era la loro musica e questo all'epoca mi bastava. C'erano "Blues For The Red Sune "Welcome To Sky Valley" e questi due CAPOLAVORI aumentavano l'aura mistica intorno alle loro figure, immagini rigorosamente desertiche ed alterare crescevano in me la sensazione di vicinanza fra il mio deserto ed il loro; e le note che uscivano dalle casse in costante equilibrio fra l'arrogante potenza di Led Zeppelin e Black Sabbath e la sintonia fuori fuoco di Electric Prunes e 13th Floor Elevators si fondevano magicamente insieme, tanto che comodamente svarionato sul mio divano, potevo sentire il bruciante calore della sabbia sotto i piedi ed il vento gelido fra i capelli. Un vortice mi risucchiò quando presi coscienza che dopo averli persi live a Milano (era il 1995 in quel postaccio che era il Factory) dovetti realizzare che mai avrei potuto esorcizzare il mio deserto in una forsennata danza pagana al cospetto degli sciamani John e Josh.

Ma certe "ferite", ricucite dagli anni e dall'invecchiare, a volte continuano a provocare dolore, molto spesso semplice ed irritante fastidio, salvo poi il fato o qualche potente sciamano Navajo darti la possibilità di cicatrizzarle per sempre così da poterne serbare addirittura un piacevole ricordo, e questo mi è stato possibile una mite sera di fine marzo, nelle vicinanze di Milano dalla testarda caparbietà (lucro, hanno detto in molti e se anche non a sproposito, chi se ne fotte...!) di John Garcia. Pazienza l'assenza di Josh, pazienza che sono trascorsi più di 15 anni, pazienza che, come ho sentito dire, chisselinculapiùiCaiuss e che la musica è andata oltre in questo lasso di tempo... pazienza il mio fortissimo mal di denti, pazienza che non abbiano fatto "Demon Cleaner", pazienza... io (insieme ad altre migliaia di anime, ed alcune non erano ancora su questo pianeta vent'anni orsono) ho partecipato ad una cerimonia rituale di guarigione nel mezzo del Mojave a più di 100 gradi di temperatura, cicatrizzando per sempre alcune vecchie ferite al cospetto di 4 mistici sciamani del rock, che credo (in parte) anche loro abbiano fatto pace con parte del loro (maestoso) passato... la soddisfazione nel ghigno di John Garcia o nel tenero infantile sorriso Nick Oliveri ne sono testimonianza. Una vera è propria macchina da guerra live.

E pazienza se non si chiamano più Kyuss... Kyuss Vive

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