Questo è un poco noto progetto di Jon Anderson con il compositore Carvin Knowles. Il progetto si avvale anche della brava cantante Caitlin Elizabeth. L'album è composto da rilassanti brani pastorali ispirati ai racconti di J.R.R. Tolkien, come si può capire dal titolo. La cosa più interessante è probabilmente il fatto che alcune delle canzoni sono cantate per l'appunto nell'idioma creato dall'autore del Signore degli Anelli. L'album, del 2006, è interamente acustico e mostra un Jon in stato di grazia.

L'album è strutturato in maniera che le traccie dispari siano sempre cantate da Caitlìn. Tir Im è uno dei molti brevi pezzi a cappella, cantato in elfico dalla brava Elizabeth. Dei tanti che troveremo è forse quello meno interessante. Il successivo è uno dei quattro pezzi cantati da Anderson, e uno dei due che ha composto; questo è in lingua inglese. Come dice il titolo, Dan Barliman's Jig, è un'allegra giga popolare veramente piacevole, forse uno dei pezzi più riusciti. E' bello sentire il vecchio Jon ancora così in forma. Si continua con la medievale The Silver Bowl, in cui Caitlìn narra una breve favola medievale accompagnata da pochi accordi.

The Man in the Moon è a mio parere lo strumentale più riuscito dell'album. Ti culla dolcemente in un atmosfera veramente antica, e se questo era l'obiettivo, allora è perfettamente riuscito. A Verse to Elbereth Gilthoniel è sempre un pezzo di Caitlìn che si fa notare per l'uso felice del coro. Jon canta sempre la stessa frase elfica della old fashioned Elechoi, sorprendendoci con dei glissando che non ci si aspetterebbe dalla sua età. Questo è uno dei pezzi veramente medievali, in strutture, ritmi e atmosfera. La triste Beware the Wolf è una ballata lenta e oscura con un bel ritornello cantato magistralmente da Elizabeth, una delle più espressive proposte dell'album.

Abbiamo invece con la piatta e strumentale Orome: Lord of the Hunt la cosa peggiore. ripetitiva e inespressiva, non fa altroche ripetere lo stesso motivetto, suonato mestamente da molti fiati. Creation Hymn è il migliore dei pezzi brevi in elfico, è molto gaia e colorata e presenta un intermezzo di flauto dolce e traverso da manuale secondo me. Si prosegue con la triste e strumentale When Durin Woke, pezzo largo in crescendo che ha una buona carica ma la spreca ritornando alla fina al tema iniziale. L'ennesimo breve pezzo per voca chitarra e flauto si chiama Eala Earendel, un riuscito inno alla dea degli elfi. Jon torna alla grande con The Sacred Stones, molto riuscita. Cantata in inglese, essa ha come tema i Silmaril ed ha una struttura assimilabile ad altre cose degli Yes. Piacerà non solo ai fan del gruppo ma anche a nuovi accoliti.

Un cantante si affianca a Caitlìn nel coverizzare la famosa Battle Of Evermore (Page and Plant gli autori, IV il glorioso album). Pur essendo ben arrangiata, questa coraggiosa scelta è molto penalizzata dal dilatamento eccessivo della canzone, che si ritrova dluita in quasi sette noiosi minuti. La voce maschile inoltre non fa un centro perfetto per me. Con The Blood Of Kings troviamo lo strumentale migliore: potente, vario, spinto ma rilassante, epico al punto giusto. L'ultimo pezzo di Jon è l'elfica Verses to Elbereth Gilthoniel, che riprende il tema trattato precedentemente ampliandolo piacevolmente. L'epilogo è affidato all'ugola di Elizabeth nella stupenda Evening Star, sognante e delicata come il tramonto che evoca. Questa perlomeno sarebbe da ascoltare, se la trovate nel tubo, cari fan del Fantasy.

Senza dubbio un progetto ambizioso e "progressivo" questo. Infatti sebbene di rock non ce ne sia l'ombra, si può notare come l'indole "sciamanica" di Jon abbia contaminato l'opera con un sentire avanguardistico nonostante essa si riferisca ad antiche (e inesistenti) ere. Non è effetivamente all'ordine del giorno sentire brani in una lingua artificiale, a meno che non siate appassionati di Magma. Lo consiglio agli estimatori di musica folk, medievale, romantica, celtica e ai fan del fantasy. Tra i pochi difetti che mi trattengono dalla quarta stella: l'uso di uno strumento, credo l'hurdygurdy, che ha un suono particolare che non amo, una certa ripetitività nei pezzi brevi, e l'abuso del gong che mi sembra posto un pò a caso a fine battuta anche se non ne avverto la necessità e che chiude alcuni pezzi.

Un piacevole intrattenimento per chi ama la musica fatta col cuore!

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