Un lustro e non di più è trascorso da quando Ritchie Blackmore e Jon Lord si erano recati il 4 giugno 1969 all'Ivy Lodge Club di Woodford di Londra, per ascoltare gli Episodi Six e cercare conferma delle lodi intessute dal loro amico (e componente degli stessi Episode Six) Mick Underwood, in favore di un allora poco conosciuto singer a nome Ian Gillan.

Ben sei dischi - dal  primo "Concerto For Group And Orchestra" all'ultimo studio album "Who Do We Think We Are" - sono stati immessi sul mercato divenendo un ghiotto pasto per critica e pubblico, uniti dal piacere di poter finalmente prestare attenzione ad un gruppo in grado di trasfigurare "naturalmente"  un semplice riff ed un'ordinata intelaiatura armonica in un epopeico ed esuberante suono, che ne foggerà i tratti distintivi sul quale edificare un proprio ed inconfondibile emblema sonoro. Una semplicità che accompagnata alla geniale capacità di improvvisazione  (per lo più di chitarra e tastiere) in sede live, aiuterà la band a prendere le dovute distanze dal cimentarsi in esagerate ma lodevoli "forme di rumore" proprie di gruppi come Pink Floyd o anche Cream, trasmettendo a chi ascolta strabilianti doti esecutive e compositive peraltro inoppugnabili. L'indiscutibile levatura professionale del Mark II dei Deep Purple che ha fatto incontrare dei musicisti professionisti, con l'incontenibile predisposizione a guardare sempre avanti e che purtroppo con il tempo ha fatto assodare i dissapori interni tra Blackmore (sorretto da Lord), Gillan e Glover che porterà gli ultimi due ad abbandonare la band.

Fatto sta che nessuno dei rimanenti membri ha mai pensato che una simile situazione avrebbe portato al definitivo scioglimento, preparandosi alle audizioni di nuovi musicisti come all'ascolto delle numerose cassette con i provini che pervengono alla casa discografica. La prima scelta cade su Glenn Hughes, bassista e voce dei Trapeze - già attivi con alcuni dischi -, facendo considerare allo stesso Blackmore di poter andare avanti con il gruppo senza più la necessità di avere un singer-primadonna, se non fosse stata la silente caparbietà di Lord a voler approfondire la conoscenza di quel giovane provinciale dalla voce appassionata e ruggente che fino ad allora lavorava in una boutique di Redcar (Yorkshire) e che passerà alla storia col nome di David Coverdale.

Con l'ultimo reclutamento e dopo essersi rimpossessati di determinazione estro e vivacità, i nuovi Deep Purple entrano in studio nel novembre del 1973, per mettere definitivamente su nastro il tanto atteso successore dell'onesto "Who Do We Think We Are", che vedrà la luce il successivo mese di febbraio. Non c'è alcun dubbio che è intenzione dei Purple mettere subito le cose in chiaro con l'arrembante introduzione della title-track, quasi a voler affermare di essere tornati per restare. Il brano si sviluppa  su degli straordinari duetti tra chitarra e tastiera e con la complicità della possente sezione ritmica, che vede alternare i ruggiti di Coverdale e le grida modulate di Hughes alle prese con un testo (che inizialmente era stato battezzato "The Road") che rievoca roghi e maledizioni (The sky is red, I don't understand, past midnight I still see the land. People are sayin' the woman is damned, she makes you burn  with a wave of her hand. The city's a blaze, the town's on fire. The woman's flames are reaching higher. We were fools, we called her liar. All I hear is "Burn!" = Il cielo è rosso, non capisco è passata mezzanotte e continuo a vedere la terra. La gente dice che la donna è maledetta. Ti fa bruciare con un gesto della sua mano la città è un fuoco, il paese è un incendio le fiamme della donna stanno diventando sempre più alte. Siamo stati degli stupidi, l'abbiamo chiamata bugiarda tutto ciò che sento ora è "brucia!"). L'untuoso rock-blues di "Might Just Take Your Life" (già concepita durante le prove di Clearwell Castle) parte con le pennate di Blackmore, lasciando sviluppare le vincenti armonie di un Hammond lascivo, sfruttando appieno la dicotomia di un cantato che si caratterizzerà per originalità, prendendo una decisa distanza da quanto proposto con Gillan al microfono. Se c'è un brano concepito per sobillare la folla, quello è "Lay Down, Stay Down", un rock'n'roll diretto e senza fronzoli in cui Lord con inverecondo mestiere dà luogo a un boogie, che spiana la strada ad un dei più bei assoli di chitarra, ma che in sede live non vedrà mai la medesima riproposizione. L'ossessionante ritmica di "Sail Away" - il primo brano del disco ad essere ultimato -, ci svela la traccia che più si muove con un incedere ipnotico, che seppur riesce a far tirare il fiato quanto a ritmo, rappresenta al meglio l'anima blues del disco.

Il disco del ritorno ha tutte le carte per garantire una nuove conferme ai vecchi fan nonché fare da traino per i nuovi, mettendo anche in moto quel meccanismo di interesse che ha come scopo di far sì che le arene e teatri fossero sempre colmi. Un lavoro che in cui i cinque smussano, aggiustano e levigano per un suono caldo, potente ed immediato alimentando il concepimento di atmosfere dal forte impatto immaginativo che vanno dall'affollata ed ordinata highway all'ora di punta al maleodorante locale in cui bourbon e compagnie poco raccomandabili la fanno da padrone.

Le bacchette di Paice lasciano partire gradualmente il funk-rock di "You Fool No One" che "dal vivo" diverrà una vera palestra per l'improvvisazione strumentale, in cui a cadenzare il ritmo da samba brasiliana ci penserà un guitar work di rifinitura quanto mai geniale. Con "What's Going On Here", un inebriante blues-rock'n'roll in cui l'euforia a due voci riesce a rendere al meglio l'interpretazione di un testo garbatamente impudico (Went downtown, had a long way to go. How I got there, well, I don't know Found myself sittin' in a west side bar. Tried to leave but I could not go far. High class woman try'n to give me a line, Should have left early when I felt so fine. I can't stay here, there's something wrong here What's goin' on here? = Sono andato in centro, dopo aver fatto un bel pò di strada Non so come ci sono arrivato, mi sono ritrovato seduto in un bar del west side. Ho provato ad andarmene ma sapevo di non poter andare lontano. Una donna di alto bordo ha provato a raccontarmi delle storie, sarei dovuto andare via prima, quando ancora mi sentivo bene. Non posso restare qui, c'è qualcosa che non va, che cosa sta succedendo ?). Le soffici note elegantemente suonate da Blackmore introducono "Mistreated" (concepito come "Sail Away" già dai tempi di "Who Do We Think..." e tenuto gelosamente in cassaforte dal chitarrista),  uno dei blues bianchi più avvincenti, in cui la forza trascinante di un veemente riff unita ad un'appassionata  interpretazione vocale (per altro l'unica su questo disco) del solo Coverdale, al cui  immediato coinvolgimento non è possibile sottrarsi. Lo strumentale "A" 200 (la cui misteriosa virgolettatura gli aveva conferito un indebito riferimento alla science fiction) fuoriesce dalla volontà di Lord di sviluppare idee musicali che ben si prestano al loro utilizzo e sviluppo in una chiave sperimentale, in cui è il solo di chitarra piazzato nel mezzo che ci ricorda pienamente che nulla è fuori contesto. 

"Burn" è un lavoro che presenta una band felice di essersi rinnovata, ove tutte le componenti personali e musicali sembrano aver trovato la giusta collocazione, a partire da quell'iniezione di vitalità apportata dalle performance vocali dei nuovi arrivati orientate verso una hard-blues passionale. Un album detonante che ha il sapore di una sfida e che a confronto con i capolavori che lo hanno preceduto non ha nulla da temere, delineando il ritorno di una band capace di registrare in appena due settimane un autentico must dell'hard rock, disegnandone nuovamente le coordinate distintive ed ottenendo il riscontro commerciale più riuscito tra le studio release.

[La pubblicazione del cd "Burn" avvenne nel 1989, mentre la "30th Anniversary Edition" vedrà ovviamente la luce 15 anni dopo in un pregiatissimo digipack, che include su di un unico cd l'album pubblicato nel febbraio del 1974, rimasterizzato agli Abbey Road Studios dai masters originali da un quarto di pollice. Di particolare pregio sono le cinque tracce aggiunte sul medesimo dischetto: "Coronorias Redig" una meritevole traccia strumentale registrata ai Copenaghen's Rosenberg Studios il 10 dicembre 1974 mentre la band si trovava in terra danese per un warm up tour, preparata per il boxset "Listen, Learn, Read On" e poi pubblicata come b-side del singolo "Might Just Take Your Life" nel febbraio come brano apripista all'imminente album. I remix del 2004 di "Burn", "Mistreated" (che ebbe il primo testo partorito e completato da Coverdale per le recording sessions), "You Fool No One" e "Sail Away"   (il brano che la band avrebbe voluto pubblicare come primo singolo) sono stati ulteriormente "trattati" dall'original 16-tracks ai Metropolis Studios nel pieno rispetto del suono originariamente concepito. Oltre ad una buona mezzora di musica bonus, troviamo anche un ricco booklet di 24 pagine accuratamente redatto da Nigel Young, in grado di soddisfare qualsiasi curiosità per quello che venne definito come il biggest selling Billboard album act of 1973].

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