Non è il caso di riprendere inconsiderazione la solita diatriba sulla copia spudorata di Tizio o Caio o sul loro presunto essere fighetti, col rischio invece ditralasciare la cosa più importanti ovvero sentimenti ed emozioni che l'ascolto di un disco dovrebbe suscitare e che con tutti 'sti discorsi teorici rischiano di passare in secondo piano ed essereriposti e chiusi in un cassetto.

Dietro "Wow" si cela un progetto ambizioso, che dilata ogni oltra misura i riferimenti stilistici dei bergamaschi, che porta alle estreme conseguenze una eterogenità, che aveva preso piede nel precedente e stoner-oriented "Requiem", ma che qui viene ampliata su coordinate per buona pace di tutti diverse.

E' un disco evocativo, di quelli che una volta spolpato per bene e col tempo diventa un film in musica con immagini talora in bianco e nero su una battiggia semi-deserta etranquilla in un pallido ma assolato e desolato paesaggio invernale ("Castelli per aria" - "Sorriso in spiaggia pt. 1 -"Miglioramento"). Salvo subito l'immagine sgranare e sfumare in un panorama buio e lugubre, che sa di vecchiume, odore di sigarette consumate, fumi tossici reminescenze di vecchie proiezioni ("Micoltivo" - "Lui gareggia" - "Rossella roll over" - "Sulciglio").

Ma non fatevi trarre in inganno: è comunque l'opera più luminosa del trio.

I Verdena hanno aperto finestre, porte, balconate ed entra una luce a tratti cristallina e pura ma mai acceccante ("Nuova luce", "Grattacielo"), che ti pervade l'anima, ti accarezza in volto come una leggera brezza mattutina e inmaniera quasi impercettibile ti prende e ti porta per mano.

Una luce che tuttavia si badi con cura non ha sempre la stessa intensità ma che tende ad avere sfumature e tonalità diverse in base al luogo, senza che manchino anche delle sfumature di un grigio che talvolta diventa tenue e talvolta sfuma inun nero pece che tanto ci fa godere.

Il minutaggio è elevato, ma niente diproibitivo o insormontabile, anche una durata canonica dei singolibrani aiuta, sopratutto se la mente riporta indietro le lancette alle suite del secondo disco o al già citato "Requiem", che durano calcolatrice alla mano anche leggermente più del qui ivi recensito e doppio disco.

E' un'opera pop che fa un uso oculato e duttile della lingua madre, e che non viene violentata come spesso capita con tanti gruppi italiani: pop sghembo, distorto, un po' psichedelico, di quello che ti fa viaggiare gratis sia nei suoi meandri levigati sia nelle geometriche e contenute abrasioni, senza doverti per forza rollare un cannone alle sei della sera.

Mai come prima il Ferrari cantante sicimenta con così tanta ricorrenza alle tastiere, che a conti fatti costituiscono l'impalcatura del disco, con la chitarra che non è più solo ed esclusiva primadonna, ma deve affilare il fioretto anche coni synth dell'altro Ferrari.

I testi per quanto a tratti possono essere non-sense sono invece una loro peculiarità e non un difetto.

Il rischio dispersione è scongiurato e alla fine della corsa, sono completamente assenti parti che cozzano col resto, si può al massimo parlare di rari episodi minori, ma spetta alla discrezione delle proprie orecchie individuarli, ma senza inficiare l'altissima qualità del platter.

Non serve andare il cinema, non serve il 3d, non serve un televisore hd, vi bastano un paio di cuffie e un buon divano per essere trasportati in un'altra dimensione e vivere unesperienza sensoriale e non fatevi le canne che fanno male.

Take it easy.

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