Lavanderie Romane, circolo ARCI, via Berthollet 25. Un posto che è intriso dell’odore di San Salvario, della musica di San Salvario, della vita di San Salvario. Non è infatti un caso che siamo proprio a San Salvario, Torino, Italy. Strano eh?
Avevo già ascoltato l’Alba Di Morrigan in sede live saggiandone le potenzialità, così come gli Interióra, entrambe band torinesi emergenti e dedite ad un post-metal malinconico ed emozionale, come in una jam session/orgia sfrenata tra Katatonia e Callisto. Serate che mi hanno fatto tornare a casa con le orecchie rincuorate.

Stavolta, però le due band si sarebbero cimentate con dei set acustici, riproponendo i loro brani più famosi in veste “soft”, seduti allo sgabello di fronte a quella manciata di presenti che, tuttavia, diventavano sempre più numerosi. La curiosità di ascoltare cosa ne sarebbe venuto fuori era a mille, e a ragione.
Al mio arrivo nel Lavandaio vengo colto di sorpresa da una serie di schitarrate che poco avevano a che fare con il mood “spleenoso” che avrebbe accompagnato la serata. Piuttosto, sembrava quasi di essere tornato in Erasmus, con festaioli da ogni dove che trincavano alla salute non si sa di cosa, e al ritmo di canzoni allegre e senza pensieri. La prima band ad esibirsi era infatti un duo, “i Nemici”, arrivati per fortuna in sostituzione degli Eskinzo che, non si sa perché, non erano presenti. Vabbè, meglio così.

“Plinio” e “Lingua d’oro”, come si fanno chiamare, dicono di suonare “un pop leggero e leggiadro, un po’ beach e un po’ bitch”. Direi che hanno ragione: a sentirli suonare, più che un concerto sembra un falò di ferragosto con gli amici. Il pubblico sembra divertirsi molto, applaude, segue le canzoni divertito e i nostri rispondono divertendosi anche loro, tra accordi di chitarra che inducono a ballare (peccato per la mancanza di spazio) e note di fisarmonica che la accompagnano degnamente. E così, tra pezzi cantautoriali scritti da loro medesimi e qualche battuta qua e là (“abbiamo una pagina Facebook, aggiungeteci come amici, anche se siamo I Nemici”), il duo non disdegna di mischiare a cover più o meno famose in una sola canzone (memorabile la chiusura con il classico anni ’90 “Destinazione Paradiso” del Capellone nazionale Gianluca Grignani). Insomma, simpatici e divertenti, sicuramente una ventata d’aria fresca, che in queste notti di calura estiva non è davvero niente male. Bravi ragazzi, hakuna matata. Peccato solo che la loro musica non c’entrasse granché con il tipo di serata, ma tantè. CHISSENE, direbbe il Maestro.

Dalla spiaggiosa estate si passa in tempo record all’uggioso autunno con gli Interióra, che iniziano subito a darsi da fare con una scenografia ad hoc, tra pannelli e e foglie novembrine sparse sapientemente a terra dalle mani del cantante Simone De Vita. Niente a che vedere con la prova live dello scorso Post-rock Fest al Padiglione 14 di Collegno, questa volta i ragazzi si re-inventano in chiave semiacustica e leggera. Sicuramente una veste sonora che dà un buon risalto alle qualità del gruppo e al tipo di musica proposta, melodica, avvolgente ed intrisa di malinconia, a cui viene dato un risalto ancora maggiore dagli strumenti “soft” maneggiati dal combo. I brani scorrono come fossero le foglie d’autunno sparse ai loro piedi  e, tra qualche divertissement di chitarra e tastiera, i 4 arrivano dritti al loro pezzo forte “Capricorno”. Questa canzone l’avevo già notata in elettrico nel loro concerto di Collegno e, devo dire, ero curioso di risentire in acustico. Data la spiccata melodia del brano, anche questa nuova veste rende decisamente bene. Forse continuo a preferire l’elettrico per via della parte finale, particolarmente appassionata ed emozionale, che poggia proprio su schitarrate intense che toccano il cuore; anche così, comunque, le emozioni, rimangono le stesse. Un’intensità diversa, potremmo dire, meno diretta e potente ma più intimista e ammaliatrice.
Peccato che i brani siano solo 3, ma come si suol dire, “meglio pochi ma buoni”. E infatti loro lo sono. Pochi e buoni, intendo. Bravissimi, attendiamo solo di ascoltare l’EP.

Saluti di rito ed entrano in campo i 3 torinesi, armati di un chitarrista in più, tutti seduti sugli sbagelli con un mucchio di gente che, nel frattempo, è aumentata esponenzialmente, tanto da sedersi a terra per il poco spazio rimasto. Tra persone che già li conoscevano, amici e perfetti estranei, tutti sembrano pendere dalle loro labbra quasi come i figlioletti di Papà Castoro mentre aspettano che il loro procreatore gli “racconti una storia”. E non è niente male, questa storia. Il “trio diventato quartetto” parte subito con uno strano miscuglio di cover, tra “Love Song” dei Cure, “Diary Of a Madman” di Ozzy e “Countdown To Extinction” dei Megadeth. Devo dire, davvero BELLISSIMA l’interpretazione del brano dei Cure, che se non fosse stata già scritta dal gruppo di Robert Smith, in quella veste sarebbe potuto sembrare davvero farina del loro sacco. Sarà stato per la voce o per il suono di chitarra, fatto sta che la reinterpretazione di quel brano in chiave “Alba” mi è sembrata davvero riuscita. Particolarmente figa la sezione ritmica, interpretata sia dal basso acustico di Alessio che sembra perfetto per l’occasione, sia da un giocattolino FANTASTICO maneggiato da Luca, una sorta di jambei elettrico in grado di emettere suoni a percussione di ogni sorta, Sitar compreso!!! (A proposito, LO VOGLIO).
Inevitabilmente seguono poi i brani migliori presi dal loro “The Essence Remains”, che in chiave acustica acquistano una forza ancora maggiore. Scorrono così una meravigliosa “Snowstorm” seguita da una “The Faires’ Circle” che tocca il cuore. Il pubblico ascolta assorto e sembra quasi rapito da quelle note (con ragazze sedute a terra che si tengono le gambe e non staccano gli occhi dagli strumenti), a volte anche seguendo il tempo con le mani, prima che faccia il suo ingresso un nuovo brano in italiano che, chissà, potrebbe essere una sorpresa del nuovo album. Per l’esecuzione del brano, Ugo molla la chitarra e si tocca bonariamente la “panza” prima di afferrare il microfono e cantare, scrutando il pubblico di sguincio. Sinceramente l’inizio non mi aveva convinto granché e non capivo bene come inquadrare il brano; in seguito, però, si è subito ripreso e vi ho di nuovo riconosciuto lo “spirito Morrigan”, emettendo un sospiro di sollievo che qualcuno affianco a me avrà magari sentito.
Il pubblico si lancia in una quasi ovazione mentre i nostri salutano e ci accingono a mollare la strumentazione. Niente da fare, le voci che reclamano un bis sono troppe, e così a chiudere la serata sarà “Lilith”, il brano in italiano presente sul nuovo album, che in sede acustica rende probabilmente molto di più (peccato solo per la mancanza dell’assolo in elettrico), sfracellando le ultime difese emotive erette dalla gente in ascolto.

Il concerto finisce, tutti salutano, tutti si abbracciano e così, anche questa recensione può ritenersi conclusa.

Un grazie agli Alba di Morrigan e appuntamento per la terza edizione del “MiBeer” a Poirino, dove il combo suonerà il 16 Maggio (non perdetevi anche i post-indie-rockiani New Adventures In Lo-Fi, come nemmeno gli Efram  e i Duo Dans Le Vent, tutte band che meritano un botto)!

Ma prima di salutarvi, un invito: ogni tanto “mollate” un po’ sti pezzi grossi che continuano a pubblicare dischi e riempire gli stadi (parlo in generale ma potrei metterci decine di band, mi sembrano come certi politici che per secoli non si schiodano dalle loro poltrone) e supportate le band italiane che meritano.
À la prochaine.

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