Questa recensione della canzone “Strawberry Fields” è divisa in due parti.

La prima è una piccola esegesi di uno dei testi più belli che mi sia mai capitato di leggere.

La seconda parte riguarda il complesso “making” della canzone, che ebbe vari rifacimenti prima del lavoro definitivo.

 1. I versi

Fissiamo il contesto storico. Siamo nell’Autunno del 1966, ed è appena stato pubblicato “Revolver”. Lennon, in mezzo alle celebrazioni dei critici, decide di andarsi a nascondere, e va in Spagna a recitare nel film “How I Won the War” (a cui farà riferimento in “A Day in the Life”). Qui, nelle lunghe pause tra una scena e l’altra, prese una chitarra, un foglio e una penna e decise di mettere ordine nei suoi pensieri.

Chiariamolo una volta per tutte. Questa canzone non è una celebrazione della droga; non è “una follia narcotica” come scrive John Robertson nel suo eccellente libro su Lennon. Anche John Robertson sbaglia su questo punto. Questa canzone ha solo la cornice musicale psichedelica; la sua essenza è folk. È un pezzo in cui Lennon si mette a nudo e descrive la sua anima confusa, insicura e lacerata. Come disse McCartney: Questa è psicanalisi messa in musica”.

Il testo un’ opera d’arte per come John riesce a esprimere “chiaramente la sua confusione”. Alla fine della canzone, capirete tutti che Lennon era un malato di mente, una personalità sdoppiata e dalle insicurezze assurde, ma con la stessa certezza possiamo dire che era un genio, perché solo un genio è capace di rappresentare così bene la sua lacerazione.

La canzone inizia così. Let me take you down

Cos I’m going to Strawberry Fields

Nothing is real

And nothing to hung about

Strawberry Fields forever

Questo è anche il ritornello. Nella versione iniziale, si trovava solo alla fine. Sia come sia, questa strofa, non è, come scrivono quasi tutti, un inno all’ LSD e al mondo irreale (“Nothing is real”) creato dall’acido. È semplicemente un inno all’infanzia. “Strawberry Fields” è un luogo dell’infanzia di John, “near my house, a house near a boys' reformatory where I used to go to garden parties as a kid with my friends Nigel and Pete. We would go there and hang out and sell lemonade bottles for a penny. We always had fun at Strawberry Fields”. (Playboy Interviews, 1980).

Lennon usa quell’immagine per dire che desidera tornare bambino, quando non bisognava affrontare la cruda realtà, e in cui non c’erano angosce e preoccupazioni (“Nothing to get hung about”).

La prima strofa.

Living is easy with eyes closed

Misunderstanding all you see

It’ s getting hard to be someone

But it works out

It doesn’t matter much to me

 

“E’ facile vivere con gli occhi chiusi, senza capire quello che vedi”. Questi versi non sono una celebrazione dei suoi viaggi con l’ LSD. Qui, Lennon dice che è facile vivere la vita superficialmente, o peggio, vedendo solo quello che ci piace vedere. È invece difficile vivere in questo mondo quando hai la sensibilità che ti fa vedere quello che non ti piace. Come disse qualche mese prima di morire: “Since I was a child, I seemed to see things other people didn't see, and I was seen as crazy by others”.

Nel verso successivo, John ammette candidamente di non sapere più chi è (“Sta diventando difficile essere qualcuno”). Si rende conto che la sua vita è una maschera: è ormai un buffone fuori, ma un disperato quando è solo con se stesso. Questa duplicità dopotutto funziona(“It works-out”). Alla fine, quando deve dire se questo fingere è giusto o sbagliato, si abbandona alla sua celeberrima indolenza: “Non me ne importa molto”.

La seconda strofa.

No one I think is in my tree

I mean it most be high or low

That is, I think, you can’t you know tune in

But it’s all right

That is I think it’s not too bad

 

Nessuno è nel mio albero. Deve essere troppo alto o troppo basso. Cioè, non riesco a mettermi in sintonia (con nessuno)”. Il primo verso in origine era diverso: Nessuno è sulla mia lunghezza d’onda (wavelenght) Qui Lennon descrive la sua “alienazione”. John si sente solo e unico, in un mondo che non lo capisce; e non sa se è un idiota rifiutato o se è troppo superiore per essere compreso. Nel verso successivo torna la sua indolenza: (“Ma va bene lo stesso”). Poi arriva la sua insicurezza (“cioè”) che nega leggermente la frase precedente (troppo forte) e la raffina con un po’ di realistica malinconia (“ Penso che non vada troppo male”).

La terza strofa.

Always, no sometimes, think it’s me

But you know I know when it’s a dream

I think I know, I mean yes,

But it’s all wrong

That is I think I disagree.

Ricomincia la sua insicurezza: “Sempre, anzi a volte”.

Think it’s me” è davvero difficile da capire. Secondo me significa: Penso di sapere chi sono”.

Il verso successivo è ancora più difficile. Dice: “Io so cosa sono significa vivere nei sogni” Come dire: “Questa è una mia illusione”.

Gli ultimi tre versi sono, invece, chiarissimi e sono l’ emblema della sua lacerazione interiore. Le parole in parentesi sono mie.

“Penso di sapere (chi sono), voglio dire si,

Ma è tutto sbagliato,

Cioè non sono d’accordo (con me stesso)”.

 2. Il Making della canzone

Tutte le fasi del making della canzone le conosciamo grazie al secondo doppio CD dell’ Anthology (DISC 2) (1995). Per alcune cose, le versioni non pubblicate sono meglio della versione pubblicata.

Quando George Martin ascoltò la versione “Demo” , disse: Veramente incantevole”, e voleva pubblicarla così, spoglia e folk. E se andate ad ascoltarla, capirete il perché.

I Beatles, tuttavia, si misero al lavoro e tirarono fuori una prima versione più lavorata (chiamata “Take 1): organo, basso, chitarra e slide guitar. La parte musicale non è eccezionale, se non all’inizio e alla fine, con l’organo sobrio in evidenza. Bella l’idea di non mettere batteria. La parte cantata di Lennon è sublime, la più bella e toccante di tutte le versioni ascoltate, anche più bella della versione demo.

Nella terza versione, quella folk-rock psichedelica (“Take 7”), c’è il mellotron al posto dell’organo (una scelta suggerita da McCartney), c’è la batteria (secondo me inutile, ma efficace perché rappresenta i passi che Lennon fa verso “Strawberry Fields”), e la magnifica chitarra ipnotica di Harrison che fa da sottofondo a tutto il pezzo.

Alla fine Lennon, comprendendo forse che, così com’era, la canzone poteva essere troppo ripetitiva, decise di unire il primo minuto della “Take 7” con una parte orchestrata da Martin. Le due versioni erano inconciliabili, ma poi, per un miracolo, con un rallentamento della seconda parte il collage fu possibile e avviene esattamente a 1:00. Questo è il risultato che venne pubblicato su disco, e che, ahinoi, non fece parte di “Sgt. Pepper”.

Riguardo alla grandezza della canzone, non servono commenti.Può piacere o non piacere, ma qui stiamo parlando di un’opera d’arte, non di una semplice canzone-capolavoro. Parafrasando Ian McDonald, ci sono artisti che sono riusciti a scrivere cose tecnicamente superiori, ma è raro trovare, ammesso che ce ne siano, canzoni così ricche musicalmente e allo stesso tempo così capaci di emozionare.

Brian Wilson disse: “ E’ a causa di questo pezzo che persi ogni speranza di raggiungere i Beatles e smisi di lavorare a “Smile””.

Riguardo al risultato finale, Lennon disse sempre che, pur essendo uno dei suoi pezzi migliori, era stata registrata male”.Accusò McCartney di sabotaggio (dovuto a invidia), e disse che l’arrangiamento è così stupendo da oscurare completamente il testo. Temo che John avesse ragione, ma, a ben guardare, fu lui a volere quell’arrangiamento. Voleva reinciderla, ma purtroppo non lo fece mai.

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