Mettiamola così: dovessi mai imbarcarmi in un'impresa tanto stupida quanto inutile, come stilare un'ipotetica classifica dei dieci migliori rapper italiani di tutti i tempi, metterei senz'altro Kaos al primo posto. Per quella voce inconfondibile e inimitabile, rauca, graffiante, che evoca rabbia e vita vissuta già dal primo ascolto. Per la perizia tecnica ineccepibile mai (e sottolineo: MAI) fine a se' stessa nell'inanellare un'immagine dietro l'altra. Per l'attitudine sto(r)icamente anti easy listening, anti musica di plastica, anti rime cesse. E poi perché a stilare suddetta classifica sarei io, onde per cui in cima ci metterei chi mi pare (eccheccazzo).

Una carriera giunta ormai al quarto di secolo, senza mai cedere a facili compromessi con mode del momento, parrucche da nero del ghetto e platee addomesticate dai media. Uno che per il proprio successo (l'album qui preso in considerazione, ha stazionato svariate settimane nelle posizioni più alte della classifica Rap di I-tunes), non ha che da ringraziare litri d'inchiostro e tonnellate di carta consumate negli anni. Capita però che dopo tanto scrivere, uno si sieda e rilegga tutti i fogli riempiti nelle notti insonni. E decida di aggiungere un post scriptum a quella che avrebbe dovuto essere la sua opera di commiato. Al ritiro definitivo e inappellabile dalle scene non so se credere o no. Anche perché è dal '99 che nella traccia finale dei suoi dischi, lo lascia intendere tra le righe. Salvo poi ripresentarsi qualche anno dopo, con un nuovo lavoro che ascoltatori vecchi e nuovi accolgono puntualmente con gioia.

Quello che mi rigiro tra le mani in questo momento, è uscito da poco più di un anno. Trattasi di un EP di otto tracce, magistralmente prodotte da Dj Argento e Fid Mella. Ma diciamoci la verità: un disco di Kaos potrebbe uscire anche su basi fatte in cantina con un mangianastri e una pianola Bontempi, che tanto chi se lo ascolta, lo fa al 90% per sentire cosa dice lui. E anche a sto giro è un piacere ascoltarlo, sia che si crogioli nel suo pessimismo cronico, o inveisca contro presunti burattinai del sistema, sia che esterni il suo desiderio di porre fine agli scazzi di una vita. Magari ci racconta pure di un amore (o qualcosa del genere... Il testo si presta a più d'una chiave di lettura) finito male. Ma con che stile e che grinta lo fa ragazzi. Sempre profondo e introspettivo, mai banale. Una garanzia dal '96. I dischi con le rime in inglese lasciamoli perdere magari, dai. Che già che se ne va (ma se ne andrà sul serio...?) in pensione, non vorrei che tra lui e gli ascoltatori affezionati (il termine "fan" mi sta proprio sui così detti) finisse come nella maggior parte dei divorzi: dimenticandosi di quanti bei momenti s'è passato insieme e rinfacciandosi ogni singolo passo falso. Grazie Marco. Ci mancherai (se non torni...).

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