Quand'è che un artista si può definire tale? Secondo me la risposta non può che essere questa: quando riesce a trasmettere qualcosa al pubblico. Quando riesce a provocare una reazione dello spettatore che viene a trovarsi di fronte alla sua opera. Che sia positiva o negativa non importa, poiché l'unica cosa che uccide l'artista e l'arte in quanto tale è l'indifferenza. Quando qualcuno definisce l'arte come qualcosa di fine a sé stessa ne svilisce il significato primario, che è quello di comunicare qualcosa, attraverso le sue molteplici forme, a chi viene a trovarsi di fronte ad un'opera. 

Il teatro presenta due sostanziali differenze da tutte le altre forme d'arte: la vita e la verità. Quando si ammira un dipinto, una scultura, un'opera architettonica, per quanto attuali possano essere i suoi contenuti, i suoi obiettivi e il suo significato, ci si ritroverà sempre di fronte a qualcosa di inanimato, di finito, o meglio, di compiuto. Per quanto strano sia anche il cinema soffre dello stesso difetto. È qualcosa che sembra lì di fronte a noi, in movimento, vivo. Ma è proprio questo il punto: sembra vivo, ma non lo è. Immaginiamo di uscire la mattina nel giardino di casa, sentire il terreno umido sotto i piedi, l'aria del mattino accarezzarci la faccia, il sole caldo riscaldarci il corpo e poi, oltre il muretto del giardino, ammirare un paesaggio bellissimo e lontano. Il cinema è proprio questo: qualcosa che, seppur bellissimo e affascinante, ci resterà sempre lontano e inafferrabile. Il teatro invece è il terreno umido che sentiamo sotto i nostri piedi, è l'aria del mattino che ci accarezza la faccia, è il sole che ci riscalda al mattino, è qualcosa, insomma, che, anche se scritto anni o secoli fa, prende vita proprio lì di fronte a noi e che, nonostante non sembri durare più di qualche breve istante, resterà sempre come qualcosa di nostro, che ha fatto parte, seppur per poco, della vita che abbiamo vissuto.

Questa è una delle lezioni, almeno, che ho ricevuto stasera (23/03/2013) nella sala incontri del Teatro Mercadante di Napoli. L'ambiente è elegante, l'aria tranquilla. Arrivano i tre attori, tre interpreti d'eccezione del panorama italiano: Alessio Boni, Alessandro Haber e Gigio Alberti. Lo spettacolo è uno dei più rappresentati degli ultimi vent'anni: "Art", di Yasmina Reza. 

La trama: Serge, facoltoso dermatologo parigino, acquista per una cifra spropositata una tela completamente bianca del maestro Antrios. Due amici, Yvan e Marc, cercano di fargli capire che non vi è rappresentato nulla, ma lui continua a dire di vederci un capolavoro astratto fatto di linee cangianti, che altro non sono se non le trame della tela. Da tale spunto prende avvio una conversazione sul significato dell'arte contemporanea che, ora con toni più accesi, ora con umorismo, ora con ironia, porterà i tre a passare in rassegna i propri dubbi e le proprie certezze fino ad un finale sorprendente.

Stasera i tre, attraverso la spiegazione dell'approccio ai rispettivi personaggi (Boni-Serge, Haber-Yvan, Alberti-Marc), ci hanno introdotto ai diversi piani di lettura che la sceneggiatura presenta: la discussione sul palcoscenico non è in realtà che un pretesto per portare lo spettatore a interloquire con sé stesso, portando alla luce, come fanno i tre, i propri dubbi, le proprie paure, le proprie certezze, i propri valori, le proprie emozioni, i propri sentimenti, ecc... 

Credo che i tre attori che ho incontrato stasera volessero dire che la forza del loro spettacolo e dello spettacolo teatrale in generale è quella di essere sempre uguale e sempre diverso allo stesso tempo; in grado di conservare sempre la propria identità, alla prima come alla duecentesima rappresentazione, ma di regalare sempre qualcosa di nuovo, di imprevisto, di inatteso; che sia una sensazione, un'emozione, un pensiero. 

In definitiva, è proprio questo che rende tanto speciale il teatro: la possibilità di recarsi ad uno spettacolo senza chissà quali pretese e di poterne uscire con la consapevolezza di essere stati, anche se per poco, parte di qualcosa di unico e di indimenticabile

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