Dopo i primi due demo/ep ed uno split che a mio parere hanno portato una ventata d'aria fresca nella scena underground foggiana, i Preti Pedofili tornano con il loro primo album vero e proprio.

Partiamo col dire che le atmosfere alle volte possono sembrare meno doomy rispetto al passato, ma ascoltando l'album con attenzione (e soprattutto con un paio di cuffie) si noterà subito che il platter presenta ancora le sonorità lugubre ed ossessive con cui il trio ci ha deliziato in passato.

Si parte con "Iride", pezzo veloce e davvero un ottimo opener che verso la fine, nella parte recitata, mette in luce l'ottima prova di Andrea sia come paroliere (compositore di tutti i testi tranne "C'est femme l'autre nome de Dieu", brano dei Nastenka Aspetta Un Altro) sia come vocalist (con le sue urla a tratti sgraziate). Ed è la volta di "Mavis" (brano da cui è stato tratto un videoclip). La canzone ricalca quanto sentito nello split con i succitati Nastenka: un metal progressivo, psichedelico (la sei corde di Andrea creta atmosfere incredibili) e malato. Visto che la psichedelia non è mai abbastanza, i Preti ci regalano a seguire "Self Made Man", una traccia di sei minuti in cui atmosfere lugubri e melodie dissonanti la fanno da padrona. Di questa canzone va assolutamente riportata una parte di testo che fa capire come atmosfere e liriche rappresentino il pezzo forte della band: 

Lo cantava pure il mito di De Andrè,anche lui rubava i testi da Brassen.Anche lui rubava e sì che lo sapeva,anche lui rubava, il pane ce l'aveva.

Ed ecco che arriva il samba-metal (così definito dalla band) di "Cancro", canzone convulsa e a tratti caotica che ci proietta in un vortice di odio, rabbia e dolore, tra parti recitate con voce baritonale e le solite urla strazianti di Andrea, condite dal basso tonante di Enrico e dallo scatenato Francesco che dietro le pelli devasta letteralmente il suo drum kit. Molto bello il finale noise/lo-fi. "Dies Irae" parte invece in pompa magna con un bel riffone che ci fa capire subito quali sono le intenzioni della band, che non sono solo quelle di andare a mille all'ora, ma anche quelle di farci calare in atmosfere lenti, oscure e catatoniche. Quando verso metà brano sembra voler tornare a splendere il sole, rieccoci sospesi nel vuoto come Alice che insegue il bianconiglio. Da segnalare un mini assolo di batteria nel finale.

Ed  è la volta di una cover, o meglio di uno stravolgimento totale di "C'est femme l'autre nome de Dieu" , brano di un'altra band foggiana, i Nastenka Aspetta Un Altro. E riecco il samba-metal di "Cancro" che torna prepotentemente. C'è un pò di ripetitività nel main riff rispetto a "Cancro", ma trattandosi di un esperimento possiamo dire che è davvero ben riuscito.  E si riparte con "Vio-Lento" (che mi ha ricordato la band thrash metal Vio-Lence). Ed è di nuovo un Andrea in grande spolvero che supportato da ritmiche al limite del "Ti prego fermati sto impazzendo!" alterna le "solite" vocals baritonali alle altrettanto "solite" urla. Con questo non voglio dire che la canzone sappia di già sentito, infatti proseguendo nell'ascolto probabilmente ci si accorge di come pianoforte ed effetti lo-fi non siano solo inutili arzigogoli, ma facciano parte di un "piano" ben orchestrato dai Preti. Se poi ci aggiungiamo qualche sferzatina hardcore nelle ritmiche e il finale bello caciarone come piace a me, ecco che il piatto è servito.

La successiva "Begotten", mi aveva colpito molto per via del titolo (per chi non lo sapesse "Begotten" è uno dei film più deviati della storia del cinema) e non mi ha certo deluso quando l'ho ascoltata. Questa volta le atmosfere si fanno quasi tristi e malinconiche più che lugubri. E la "cantilena" cantata da Andrea nel break centrale ricorda quasi una messa, la messa dei Preti Pedofili che cantano i mali del mondo, le ipocrisie, gli errori e i vizi dell'essere umano. "Primo sangue" ci sorprende invece con una partenza a base di elettronica vecchia maniera che continuerà ad accompgnarci per tutto il resto del brano! Davvero una scelta strana se pensiamo al resto dell'album. Sicuramente un bell'esperimento (anche abbastanza riuscito) ma che sicuramente si distacca come sonorità dal resto dell'album. Non una brutta canzone, ma l'ho trovata un pò fuori contesto, se non fosse per la solita atmosfera sulfurea che comunque torna prepotentemente nella seconda parte del brano. Un brano indie nell'accezione moderna del termine.
A chiudere questo lavoro è "Hate", brano che segue un pò il filone indie (in senso buono) di "Primo Sangue", ma l'atmosfera più melodica e intimista (delle note di pianoforte ci accompagneranno durante i quasi tre minuti del brano) danno al brano quella marcia in più. Credo affidare la chiusura dell'album a questo pezzo sia stata una scelta saggia. Ha dato la possibilità all'ascoltatore di rilassarsi dopo un vortice infernale durato tre quarti d'ora abbondanti.

L'artwork dell'album a cura di Trivo (altro noto musicista della scena foggiana) è davvero molto bello e "weird" come da tradizione "pretofiliana".
La produzione è notevolmente migliorata rispetto al passato: i testi nelle parti urlate sono più comprensibili, gli strumenti sono equalizzati in modo da dare una marcia in più nelle parti prettamente strumentali. Il lavoro può risultare un pò pesante da digerire in alcuni punti (più che altro per chi non ha dimestichezza con un certo genere di musica) ma non si può dire che i Preti non abbiano inciso un lavoro di qualità.  Una band che cerca sempre di proporre qualcosa di nuovo e soprattutto sempre attenta a fondere sonorità vecchie e nuove. Certo non in tutte le tracce l'esperimento è riuscito, ma bisogna apprezzare il coraggio di questo trio, da cui non sappiamo mai cosa aspettarci.

Davvero un buon lavoro.
Carico i commenti... con calma