A più di quattro anni dall'indiscusso successo che fu "Treasure" (1984), Liz Fraser, Robin Guthrie e Simon Raymonde tornano alla ribalta entusiasti delle appaganti affermazioni degli ultimi anni: dopo la non convincente prova di "The Moon And The Melodies" di tre anni prima, i Cocteau si sono riproposti con un album dalle intense sonorità quale "Victorialand" (1986), e da allora hanno unicamente lavorato alla produzione di un lp la cui attesa è destinata a non tradire né al tempo stesso sbalordire fans accaniti e non. Nasce così nel 1988 "Blue Bell Knoll", apoteosi e declino, lavoro che è acmè della ricerca musicale del gruppo, ma che al tempo stesso dà lucido segno del principio di esaurimento della vena creativa.

C'è in questo lp una fantastica serie di pezzi indimenticabili, ed è curioso notare come a differenza dell'osannato "Treasure" stavolta sia tutto più facilmente digeribile: la chiarezza di esposizione musicale che si perdeva anni prima nei suoni occulti di pezzi come "Ivo" o "Otterley" è adesso struttura portante, vero e proprio giro melodico basato su accordi basilari; splendidamente limpide sono "Cico Buff" e "For Phoebe Still A Baby", tanto più che il magnetico gioco linguistico della Fraser, qui meno accentuato rispetto alle precedenti esibizioni, è ricondotto più facilmente sotto l'egida dell'armonia musicale: "Blue Bell Knoll" è difatti, innanzitutto, un prodotto immediato. L'interesse per l' elemento orientale, congiuntamente al recupero delle origini goth-rock del gruppo si esplica attraverso pezzi come la title-track o l' affascinante "The Itchy Glowbo Blow", ove, manco a dirlo, domina sempre lo splendido vocalizzo della Fraser, tra il serio e il faceto. A questo riguardo il capolavoro è forse "Carolyn's Fingers", uno di quei pezzi che un po' tutti conoscono senza sapere qual è la matrice (è stato per anni il jingle della pubblicità dell'Honda Civic): di bellezza inusitata, è un frenetico susseguirsi di orgasmi vocali di Liz, supremo esempio di musica al servizio del canto; sulla stessa scia "Athol-Brose" e "Spooning Good Singing Gum", dalle sonorità liquide.

Disco di apoteosi, come detto, ma al contempo lavoro di flessione: sembra che i Cocteau inizino ad accusare il problema di non avere più molto da dire e di dover per forza pescare nel baule dei ricordi per sfornare qualcosa di interessante: a ben vedere, in "Spooning Good Singing Gum" pare di riascoltare "Sugar Hiccup", vecchio hit di cinque anni prima, mentre in "The Itchy Glowbo Blow" il riferimento alle origini, come detto, pare essere più dovuto che allusivo; c'è indubbiamente un principio di aporia di idee, e come spesso avviene la crisi appare irreversibile. Da allora i Cocteau Twins si ricicleranno sino al midollo toccando con mano il baratro del pop-rock commerciale, con altri tre dischi (il migliore è forse "Heaven Or Las Vegas" di due anni dopo) che lasceranno un po' di amaro in bocca. Fraser, Guthrie e Raymonde, sempre e comunque interpreti di musica leggera colta.

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