Ho sempre visto con sospetto le recensioni-lampo il giorno dell'uscita del disco o peggio le pre-recensioni: a volte trovo molta difficoltà a formarmi un'idea precisa e definitiva di una certa opera. Anzi a volte ho come il sospetto, direi la certezza, confutata dalla mia esperienza, che un giudizio scevro da ogni ripensamento in alcuni casi non esista nemmeno.

Tutto questo perchè ve lo dico? Perchè di fatto nel dettaglio a decidere che siano numeri, stelline, pallette o quello che volete, mi trovo spesso e volentieri in imbarazzo, convinto che il tempo mi faccia (o mi abbia fatto cambiare) idea di ascolto in ascolto e facendomi indugiare prima di premere il fatidico tasto invio. E' successo anche questa volta.

Ma tralasciando questo aspetto, posso passare a quello che a chi legge interessa maggiormente: descrivere “Earthbeat” per quello che è a partire dall'evocativa copertina.

Questo seguito, prodotto anche stavolta da We Were Never Being Boring è un lavoro che scorre via velocemente, anche grazie alla durata (32 minuti) e agli episodi, solo nove, quanto basta per evitare di ripetersi.
Al giovane trio originale Costanza Delle Rose (voce, basso), Erica Terenzi (voce, batteria), Nicola Lampredi (chitarra), oggi si è aggiunto ai synth Lorenzo Badioli, utile apporto per il nuovo percorso intrapreso.

Dopo l'affascinante intro ambientale di “Totem” si passa subito ad uno dei singoli “Captured Heart” primo importante indizio che qualcosa è cambiato. E la tesi viene confutata ancor maggiormente dalle successive “Lost Boy”, “Ghost Dance” e “Airwaves” dove si fa spazio un suono più rassicurante dal fascino esotico, ancor più delicato che in precedenza e dove fanno la loro comparsa percussioni e strumenti come arpe, sitar e flauto, in maniera tuttavia quasi impercettibile e mai eccessiva amalgamandosi bene nella ragnatela sonora.
Come è impercettibile e quasi accennata la voce fiabesca di Costanza avvolta non più dalla coltre di nebbia di “Cold” ma sostenuta dai caldi battiti di una rassicurante terra magica popolata da grotteschi folletti e creature fatate.

Scorrendo la tracklist troviamo la seconda strumentale “Totem II”, l'altro  interessante singolo “Colours” e saltando la prescindibile “Sparkle” arriviamo alla conclusione con “Hideway” dalle sfumature orientali.

Arrivati alla fine abbiamo la certezza che i ragazzi dopo la fredda new-wave del debutto “Cold” probabilmente influenzato dai loro ascolti e dai loro gusti con questo secondo “Earthbeat” abbiamo voluto essere più ambiziosi cercando di dare al marchio Be Forest una caratterizzazione più personale, cercando un proprio cammino.

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