Mi sono imbattuto nei Residents nella metà degli anni '80, leggendo un critico definirli come praticanti un "organizzato disservizio musicale".  A ciò si aggiunga il loro modo di presentarsi, vestiti con un frac, completo di cappello a cilindro ma con, al posto della testa, un bulbo oculare. Ce n’era quanto basta per stuzzicare la mia curiosità.

Nell’autunno del 1986, approfittando del fatto che mi trovavo a New York per il matrimonio di un mio amico irlandese, mi recai in un negozio di dischi, Tower Records credo, ed acquistai tre LP del gruppo: “Meet the Residents” appunto, “Not Available” e “The Third Reich ‘n ‘Roll”.

Rientrato in Italia, al primo ascolto mi venne da definire la musica dei Residents come “strana”, nel senso che non avevo mai ascoltato niente di simile prima. Mia moglie, invece, usa un termine inglese, dalla connotazione leggermente negativa, “bizarre”, nel senso che i suoni mettono un po’ a disagio l’ascoltatore (e posso parzialmente capirla).

Anche la copertina del disco contribuisce a questa sensazione. “Meet the Residents” pone sulla copertina del disco che ho 4 figure, denominate Paul McCrawfish, John Crawfish, George Crawfish, Ringo Starfish, di nuovo con sembianze umane ma teste di gamberi e una stella marina.

Questa copertina è in realtà una seconda edizione, in quanto l’originale raffigurava i 4 Fab Four del loro primo album “Meet the Beatles” con alcune aggiunte grafiche dissacranti, un po’ come farebbe un bambino quanto modifica per scherzo un ritratto, disegnando corna sulla testa, aggiungendo dei denti neri e cose simili. La cosa non piacque molto alla casa discografica americana Capitol, e, per quel che ne so, vi fu un lungo contenzioso legale che portò, in quel periodo, alla riedizione dell’LP, con la copertina in mio possesso.

Venendo alla musica, non mi dilungherò nel descrivere dettagliatamente ogni brano, anche perché provo sempre un sottile fastidio nel leggere il tentativo di tradurre in scrittura le sensazioni che la musica dà nell’ascoltatore. Debbo però sottolineare la “cover” selvaggia che apre il disco. “Boots” è il rifacimento della famosa “These Boots Are Made for Walkin” di Nancy Sinatra: provate ad ascoltare i due pezzi, poi mi direte…

Infine, un consiglio: cercate di ascoltare questo album (ma vale anche per la musica di un certo livello) in santa pace, magari in modalità singolo task. Questo significa non fare altre cose assieme, come tipicamente facciamo al giorno d’oggi: quindi, niente mangiare, bere, controllare Email sullo smartphone, giocare sulla PS o Xbox, telefonare, guardare la TV (tutte attività che svolgiamo spesso in contemporanea).

Piuttosto, cercate di essere soli, niente moglie/marito/convivente/figli e simili, magari di sera, quando fuori è già buio ed i rumori esterni sono un po’ diminuiti, accendetevi lo stereo, meglio se a componenti separati e diffusori attivi, spegnete tutte le luci, accomodatevi sul divano, e lasciatevi avvolgere da questi suoni nuovi, queste voci distorte, questi arrangiamenti dissonanti.

Vi assicuro che ne avrete un benessere fisico, oltre che psicologico. Cercate di ritagliarvi questo spazio almeno una volta a settimana, per un’oretta, tanto per iniziare.

Se siete giunti fino a questo punto nella lettura, vi ringrazio molto: questa è la mia prima recensione in assoluito.
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