"Cosa Succederà Alla Ragazza" (1992) si presenta come il punto più estremo del processo di scomposizione del giocattolo pop iniziato da Lucio Battisti e Pasquale Panella con Don Giovanni nel 1986.
I suoni sono di derivazione funky-dance, caratterizzati da una sintesi fra una ritmica elettronica molto elaborata (ora serrata, ora più dondolante, anche con interessanti spunti dub), e le evoluzioni melodiche a cui Battisti ci ha da sempre abituati.
Il suono è sempre molto curato e brani, composti attraverso una tecnica di cut-up, sono il frutto di un'elaborazione di quanto di meglio offriva il panorama danzereccio inizio anni 90: i battistiani-mogoliani storcono il naso, ma se ci si dimentica di bionde trecce e di occhi azzurri può capitare in più di un momento di saltare sulla sedia mentre il piedino non può non andare a tempo.

L'enigmatico linguaggio poetico di Panella stavolta si piega alla rappresentazione di una giornata vissuta da una protagonista femminile dal suo risveglio fino a notte fonda.
I testi, pieni di giochi linguistici, vanno dal puro flusso di coscienza a descrizioni di scene di vita assolutamente quotidiana.
Un qualsiasi viaggio in metro, una mattina di shopping o un'incontro in una piazza affollata offrono costantemente spunti per un flusso continuo di libere associazioni e complicate fantasie.
La lettura viene ulteriormente confusa da spiazzanti e improvvisi ribaltamenti dell'io narrante che sembra essere l'estrema mutazione del racconto cinematografico tipico di Battisti/Mogol.

L'ironia dei dischi precedenti, qua, si trasforma a tratti in divertita cattiveria laddove Battisti sembra ridacchiare dell'astrusità di quello che canta o sembra godersela a ripetere con strana enfasi casuali spezzoni di testo, senza ulteriore senso se non quello puramente fonetico ed espressivo.

Paradossalmente si tratta, forse, dell'album più vicino alle scene di vita quotidiana di lavori storici come ''Io Tu Noi Tutti'' o ''Lucio Battisti, La Batteria, Il Contrabbasso etc.'', solo che qui la stessa quotidianità è vista e blobbata attraverso una specie di telecamera interiore impazzita e il protagonista della poetica battistiana non è più la coppia, ma piuttosto il riflesso di una personalità dissociata nel caos di una città-labirinto.
Il bello è che il risultato più che ad un saggio di filosofia somiglia ad un film del Fellini più beffardo in cui nessuno sta mai fermo e i piani narrativi sono completamente aggrovigliati.
Cervellotico sì, ma maledettamente divertente.

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