Una conferma emozionale ma con un passo avanti. Definirei così "Distant Satellites", decimo lavoro in studio dei britannici Anathema. Una band a cui va riconosciuto il merito di non adagiarsi sul quanto di buono ha prodotto (come fanno invece altre band spesso con la paura di perdere consensi) ma che mira a rinnovarsi continuamente, sorprendendo ogni volta i propri fans. Un cammino partito dall'oscuro doom-metal degli esordi, passato poi per un atmosferico gothic-rock/metal a fine anni ‘90, per l'alternative rock nei primi 2000 fino al rock molto melodico e sinfonico dei lavori del decennio attuale.

La curiosità nel fan medio degli Anathema si accende quindi ad ogni nuova uscita... ma l'uscita di "Distant Satellites" suscitava ancor più curiosità in quanto la band aveva annunciato che avrebbe sperimentato al suo interno sonorità elettroniche. Successivamente la band ha rivelato ulteriori dettagli precisando che il nuovo lavoro avrebbe contenuto all'incirca un po' di tutto ciò che la band ha realizzato nella propria ventennale carriera.

Dall'ascolto si deduce che "Distant Satellites" non è un disco del tutto rivoluzionario, anzi, la maggior parte dei brani ci fa parlare di un album ancora legato al sound dei precedenti due lavori; ancora una volta siamo di fronte ad un rock melodico con imponenti aperture sinfoniche, contrassegnato da un immancabile senso di malinconia e che mette in evidenza ancora una volta le abilità vocali dei due vocalist (in particolare la voce femminile Lee Douglas). Ma non si può assolutamente negare che le ultime quattro tracce guardino decisamente avanti, esattamente come da dichiarazioni. Nelle ultime 4 tracce infatti si vira verso l'elettronica più spinta e addirittura verso inaspettate ritmiche drum'n'bass che inevitabilmente avranno spiazzato la maggior parte degli ascoltatori. Ma veniamo ad una descrizione più accurata.

L'inizio dell'album è abbastanza una fotocopia di quanto accadeva nel precedente disco "Weather Systems": lì c'erano due parti consecutive di una certa "Untouchable" e qui c'è "The Lost Song"; le sue parti sono tre (come già accaduto per "Eternity") ma le prime due sono sistemate all'inizio quasi a voler ripetere il copione dell'album precedente; esattamente come "Untouchable" la prima parte di "The Lost Song" è decisamente movimentata, con un ritmo sostenuto ma una melodia intensa e toccante condotta da passaggi tastieristici e pesanti arrangiamenti sinfonici poi sopraggiunti da corpose schitarrate, nonché da una ritmica piuttosto particolare ed una prestazione vocale altrettanto intensa... ed allo stesso modo la parte seconda è invece lenta e riflessiva, rappresentando forse la miglior dimostrazione vocale per Lee Douglas all'interno dell'album. "Dusk (Dark Is Descending)" è invece caratterizzata da una melodia più oscura e da arpeggi di chitarra più cupi che comunque non arrivano alle sonorità di "Judgement", in mezzo ha uno stacco di piano niente male. Ma il brano che personalmente mi ha emozionato di più è sicuramente "Ariel", con il suo incedere lento e riflessivo guidato da un soffice pianoforte e da una melodia che piano piano si intensifica dando sfogo prima agli arrangiamenti d'archi e poi alla chitarra. Ed arriva ora la terza parte di "The Lost Song" che suona già piuttosto diversa dalle altre tracce: il ritmo è energico ed irregolare simile a quello della parte prima ed offre anch'essa un crescendo sonoro non certo dissimile ma è focalizzata su suoni di piano elettrico accompagnati da strani riverberi, per poi intensificarsi e dare nuovamente sfogo a corposi riff di chitarra; il suono è quindi leggermente più ricercato ma nulla è in confronto a ciò che c'è in serbo. Però prima c'è un altro brano che ha suscitato parecchia curiosità, ovvero il brano che porta il nome della band: questi risulta invece più vicino alle tracce precedenti, focalizzandosi ancora una volta su piano ed arrangiamenti orchestrali; personalmente è il brano che mi ha colpito di meno, ha sicuramente una melodia intensa ma mi suscita meno emozioni delle tracce precedenti (a livello emozionale il mio trittico ideale è formato da "The Lost Song Part 1", "Part 3" e soprattutto "Ariel"); eppure è indicato da molti come un possibile futuro classico in sede live della band.

Arrivati fino a questo punto diciamo che il disco effettivamente richiama le sonorità dei due album precedenti senza grosse sorprese... sorprese che invece troviamo nelle ultime 4 tracce. È proprio qui che la band concentra la propria sperimentazione. In "You'Re Not Alone" ad esempio si affacciano pesanti percussioni elettroniche in perfetto stile drum'n'bass che si alternano a rocciose chitarre che però non arrivano alle sonorità metal dei primi album come qualcuno ha detto. Ed è solo l'inizio; "Firelight" è un sognante branetto incentrato su freddi riverberi elettronici e fa praticamente da intro alla successiva title-track "Distant Satellites", dove tali riverberi sono accompagnati ancora una volta da pesanti beat elettronici che fan da traino praticamente a tutta la traccia. Elettronica pesante e tremendamente underground anche nella conclusiva "Take Shelter", le cui sonorità potrebbero ricordare i Radiohead più sperimentali di "Kid A"; ad esse però si affiancano arrangiamenti d'archi e particolari vocalizzi che ricordano vagamente i Sigur Rós.

Alla fine dell'ascolto completo viene da pensare che il disco sia di transizione, conservatore delle sonorità più recenti ma con un discreto occhio in avanti; tuttavia anche la band ha successivamente confermato che esso segnerà il passaggio ad una nuova fase. Difficile dire se di ciò avremo conferma nei dischi successivi, difficile dire dove andranno in futuro... ma sembrerebbe proprio che la band abbia voluto limitare le sperimentazioni elettroniche a poche tracce e pochi suoni per vedere se l'esperimento avrebbe funzionato e viene subito da pensare che nei lavori successivi approfondiranno tali esperimenti.

Arrivando al giudizio finale dico che a livello emozionale forse convincevano di più i due lavori precedenti ma anche questo non è certo da meno, gli Anathema danno la conferma di essere una band a servizio dei sentimenti e di tale conferma forse non c'era nemmeno bisogno. A livello di ispirazione artistica invece si spera che sia effettivamente un disco transitorio; un album che fa automaticamente sorgere un dovere nei confronti del pubblico, ovvero quello di approfondire il discorso cominciato nella parte finale dell'album. Staremo a vedere, intanto godiamoci questo ottimo lavoro.

 

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