Dopo "Anima Latina" Battisti riesce a stupire ancora una volta il pubblico italiano col brusco cambio di rotta di "Lucio Battisti, la batteria il contrabbasso eccetera".
Niente più partiture orchestrali o stratificazioni progressive; il nuovo linguaggio scelto è più immediato, sintetico, e stilisticamente sembra avere più di un punto di contatto con la nascente disco-music americana (si ascolti "Il veliero").

Rispetto al predecessore, "Io Tu Noi Tutti" prosegue lo studio della perfetta canzone pop internazionale; brani, che, prima che inizi il cantato, potrebbero ascoltarsi in una radio di un qualsiasi paese occidentale.
Per dare questo respiro al suo nuovo progetto, Lucio, dopo alcune registrazioni iniziate con lo stesso gruppo dell'album precedente agli studi del Mulino, si trasferisce negli studi RCA di Hollywood, e si circonda di una band di sessionmen americani.
L'impianto ritmico funkeggiante è perfettamente amalgamato con il gusto melodico tipicamente battistiano; gli arrangiamenti (di Battisti e del tastierista Mike Melvoin) sfoggiano una pulizia e una sicurezza che in parte mancavano al disco precedente e i musicisti si dimostrano efficaci nel creare impasti strumentali fluidi e scorrevoli al punto giusto.
In primo piano sono sempre le tre chitarre ritmiche sostenute puntualmente da una batteria sempre impeccabile e fantasiosa, con il sintetizzatore di Mike Melvoin pronto a cesellare e a dare un tocco di modernità dove serve.
La statura di Battisti autore si rivela anche in canzoni apparentemente leggere e sicuramente di facile presa, ma sempre caratterizzate da evoluzioni melodiche (strumentali o vocali) assolutamente mai ovvie o banali.

La tendenza a costruire piccole sceneggiature trova la sua piena espressione in otto frammenti di vita quotidiana (borghese, si sarebbe detto...), disseminata di acute annotazioni; spiccano il conflitto interiore fra negazione e evidenza di "Ami ancora Elisa" (evoluzione della struttura a dialogo di altri brani dei primi anni 70), la gioia trionfante di chi si sente "L'interprete di un film" dopo una conquista, la spensierata ode ai piaceri della guida di "Sì, viaggiare", e la non scontata riflessione fra predestinazione biologica e responsabilità esistenziale di "Questione di cellule".

La voce appare definitivamente consapevole e quanto mai capace di sfruttare in modo efficace i propri limiti.
L'espressività è rafforzata dalle ricercatissime stonature (quante volte ho mandato indietro la puntina del giradischi sullo spiazzante inciso di "Ami ancora Elisa"...) e dalle abili modulazioni canore fra immedesimazione e distacco.
Siamo ancora lontani dal sarcasmo Panelliano, anche se certe immagini lasciano trapelare una certa ironia che a volte sconfina nella misoginia ("parlar di comprensione, evoluzione, elevazione, mentre pensi ai tacchi alti che hai").
Uno dei migliori esempi di come la musica pop (nell'accezione più alta del termine, italiana e non solo) possa essere immediata e canticchiabile e al tempo stesso trasudare creatività e intelligenza da ogni nota.

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