Che un mostro sacro del jazz come Herbie Hancock abbia realizzato un disco squisitamente pop non è di per sé una cosa sorprendente. Il nostro infatti ha seguito un percorso artistico che lo ha spesso condotto a sfiorare altri generi musicali dal funky alla disco music, basti ricordare il bizzarro "Perfect Machine". Che però uno come Herbie Hancock, con la sua storia, le sue esperienze e celebri collaborazioni, Miles Davis su tutte, potesse prestare il proprio nome per un’operazione patinata e ruffiana come "Possibilities" proprio non me lo sarei mai aspettato. È proprio vero che le sorprese non finiscono mai.

"Possibilities", infatti, altro non è che una raccolta di plastificati duetti con alcune delle star recenti e passate del pop-rock da Cristina Aguilera, a Paul Simon, Sting, Annie Lennox e così via. È una di quelle operazioni rientranti strettamente nella logica che vede la musica come mero prodotto da collocare sul mercato, studiandone tendenze ed orientamenti. È un disco, quindi, che può far rima con parole quali target, trend, marketing oriented e quant’altro. Nulla di scandaloso e comunque ciò non è ragione sufficiente per escludere in radice la possibilità che un prodotto costruito in questo modo possa possedere caratteristiche qualitative da renderlo apprezzabile, ma per me non è questo il caso. Per carità, si può anche ascoltare piacevolmente, magari come sottofondo ad una festa chic su bordo piscina, chiaccherando amabilmente con gli ospiti e sorseggiando un vodka martini, rigorosamente agitato e non shakerato. Non è il caso, però, di attribuirgli altre qualità oltre l’essere un disco da Piano Bar, di alta classe certo, ma pur sempre Piano Bar.

Di solito non mi piace soffermarmi nella descrizione del disco canzone per canzone, ma paradossalmente stavolta ne vale davvero la pena. Si parte con "Stitched Up" con John Mayer, un incipit perfetto per catturare l’ascolto: motivetto orecchiabile, allegro nel quale Hancock fa la sua parte di musicista da saloon con spunti pianistici così banali che potrebbe suonarli ad occhi chiusi e con le mani legate. Poi arriva "Safiatou" con Carlos Santana e Angélique Kidjo. Suonato perfettamente dai nostri comprimari ha però l’indubbio demerito di riportare irrimediabilmente alla mente il tormentone "Corazòn Espinado" che tutti, volenti o nolenti, abbiamo dovuto sorbirci in loop e in tutte le salse per lungo tempo ovunque: radio, locali, case di (ex) amici. E meno male che il disco è stato pubblicato a Settembre altrimenti ci avrebbero massacrato tutta l’estate con questa canzone.
Non mancano ovviamente i brani cosiddetti "strappamutande" in questo caso incarnati prima da Cristina Aguilera ("A Song For You"), poi dal redivivo Paul Simon ("I Do It For Your Love"). Sbadigli a scena aperta. L’ancor più rediviva Annie Lennox chiude il melenso trittico con "Hush Hush Hush", nulla di trascendentale, ma devo ammettere che la voce di Annie Lennox è un bel sentire. Il brano più elaborato, se così si può dire, risulta "Sister Moon" affidato naturalmente a Sting, abbonato a duetti, trii ed ammucchiate varie, distinguendosi in questa occasione per l’inutilità e piattezza dell’interpretazione.
Un pelo più interessante, perché un po’ più ruvida rispetto al contesto, "When Love Comes To Town" con Jonnhy Lang e l’emergente Joss Stone, ma non aspettatevi granché, non scordatevi che è pur sempre un Piano Bar. La presenza di musicisti emergenti viene rafforzata con "Don’t Explain" cantata da Damien Rice e Lisa Hannigan, effettivamente una bella e romantica ballata da luci soffuse. Da evidenziare l’assoluta inutilità di "I Just Called To Say I Love You". Rivestita da tastiere fluenti l’interpretazione di Raul Midòn è sinceramente patetica e la presenza di Hancock solo un contorno di lusso. L’album viene finalmente chiuso dal duetto con Trey Anastasio "Gelo Na Montanha" in perfetta coerenza con tutto il contesto descritto.

In sintesi ho trovato il disco sdolcinato, superfluo, ruffiano, fastidioso, banale, sostanzialmente brutto. Ciò nonostante è chiaro che l’orecchiabilità dei temi, l’easy listening può essere percepito da altri come una qualità e condurli di conseguenza a considerare la mia visione eccessivamente severa. Ma sappiate che non è questo che valuto negativamente. È giusto che esistano spazi anche per musica leggera, facile, ma credo che si possano usare in un modo più elegante e sincero, aggettivi in questo caso non utilizzabili.

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