Se c'è un artista che più di ogni altro sa esprimere in musica il male di vivere, il senso di solitudine dell'uomo, la sua nudità di fronte alle emozioni e ai sentimenti, questo artista è senz'altro Will Oldham. Ed in questo disco, datato 1994 e pubblicato sotto uno dei tanti pseudonimi "Palace" di Will, ne è un esempio toccante e inquietante nello stesso tempo. Musicalmente essenziale, con la chitarra a supportare la voce tremante e amara di Will, questo album riesce a rievocare il Nick Drake di "Pink Moon" nei temi musicali e nel songwriting, accompagnato da testi di monumentale bellezza e abissale profondità poetica.

When you have no-one/No-one can hurt you, su queste semplici parole si apre "You Will Miss Me When I Burn", una canzone che ad ogni riascolto ti ferisce con la sua semplicità, ti lascia un segno, ti brucia dentro come un fuoco. Una canzone sull'abbandono e la mancanza d'amore, una canzone dove "l'inferno sono gli altri", una canzone carica di presagi nefasti e di malinconia in bilico sul baratro della depressione. Un capolavoro. Il dialogo intimista diviene ancor più spiccato in "Pushkin", il cui testo, ermetico e al limite dell'incomprensibilità, contrasta spiccatamente con il clima musicale apparentemente rasserenato del brano. God is the answer, ripete il chorus, ma si sente che Will non ci crede più di tanto, in una richiesta d'aiuto che è anche una professione di fede per l'uomo dilaniato dai dubbi e dal senso della vita.

In questa sorta di ambivalenza affettiva si gioca tutta "I Send My Love To You", una canzone colma di ironia ma con una amarezza diffusa, nel desiderio di specchiarsi nell'altro, nella ricerca di un dialogo. Temi che appaiono in tutta la loro inquietante bellezza in altre tracce del disco come "Whither Thou Goest" e "(Thou Without) Partner". Il disco si chiude con una ballata autobiografica e amaramente ironica, "I Am A Cinematographer", dove compaiono i temi dell'abbandono degli affetti familiari (If you were alone/You could walk away from Louisville alone), dell'incertezza (And I walked away from everything that's good), dell'ostinata solitudine del "loner" ("I was a big old bear once").

Ecco, è come se in questo album si siano coagulati, in meno di trenta minuti, tutti i temi fondamentali dell'uomo moderno. Raggrumati in una chitarra acustica, in una voce intensa e fragile come una passione non ricambiata, in canzoni dove non esiste una certezza, se non quella della loro straordinaria bellezza e verità.

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