Talento mostruoso - suona divinamente chitarra, pianoforte, tablas - Nitin Sawhney è da considerare un intellettuale tout court. Meglio, quasi un uomo di cultura del Rinascimento, intendendo con ciò, quel tipo di artista umanista che mira, come scelta, a distruggere le specializzazioni e a misurarsi con le diverse discipline artistiche. Attore, sceneggiatore, scrittore, giornalista, produttore, remixatore, dj, musicista, compositore di colonne sonore.

Per questo famelico bengalese nulla è stato impossibile negli ultimi anni come dimostra l'eccellente "Philtre". "Beyond Skin" è il suo capolavoro datato 1999. Ciò che colpisce è la duttilità di tradurre in musica sentimenti, pulsioni, emozioni e posizioni politiche con soluzioni musicali anti-convenzionali. In più la prodigiosa capacità di piegare il proprio talento alla forma canzone, dove confluiscono due mondi musicali, quello acustico e quello elettronico, in perenne contrasto tra di loro. Un'elegante esplosione di schegge di jazz, jungle, dub, flamenco, elettronica, musica classica indiana e "London Beats". Sofisticatissimo impasto il suo, tanto da sembrare una summa musicale di 4 Hero, Massive Attack e Talvin Singh. Solo immensamente meglio. Ogni canzone è un caleidoscopio di suoni, emozioni, spiritualità, "real life"; un quotidiano spesso amaro e vissuto con sofferenza e nostalgia insieme.

Sarebbero da citare tutte le canzoni, tanto sono belle ed emozionanti. Ma ne bastano due, capolavori tra i capolavori: "Letting Go" e "Homelands". La prima è una ballata inzuppata di soffici overtones dub, fradicia di sentimenti, cantati in maniera sublime da Tina Grace. Una storia di partenze, addii e cuori infranti. L'incipit è dato da una pioggia scrosciante che ci immerge in uno stato emozionale autunnale. Poi si innesta un London groove lasco lasco, la chitarra acustica e il piano in lontananza delicatissimi ovattano la stanza dove Tina Grace, davanti alla finestra madida di pioggia, canta con il cuore appoggiato sul davanzale. La voce di Tina è così struggente e venata di malinconia da risultare irrestibilmente fatale per tutti noi, quasi fosse la nostra amata ad andarsene. I contrappunti vocali di Jayanta Bose, un cantante classico della tradizione Bengal, rendono suggestiva l'atmosfera con il violino indiano che morde a destra e manca. Nel finale, briciole ritmiche dub affievoliscono l'atmosfera in un clima quanto mai velato e malinconico. Mentre la pioggia continua a battere e le voci della strada ci fanno capire che Tina è uscita. Se n'è andata per sempre. Da brivido. Perfetto. "Letting Go" è un tumulto di emozioni indimenticabili. E sul finale s'incrociano i violini drammatici della sezione d'archi dei 4 Hero (preziosa presenza di tutto l'album) che danno il segnale d'inizio a "Homelands" creando un unicuum emotivo. Sui violini maestosi s'inerpicano i vocalizzi briosi dei nipoti di Nusrat Fateh. Una sorta di scat etnico-jazz dall'incedere impetuoso, valicati da una chitarra flamenco che si libra vibrante nell'aria. Montano poi i breaks e le tablas. Le voci si dissipano in echi e contro-echi. L'effetto è meravigliosamente stordente. Poi una voce femminile imbastisce un coro. Di nuovo ci si consuma in echi e riverberi quanto mai eleganti. La guitara flamenca continua a inventarsi sui violini svolazzanti, mentre Nina Miranda (sì, lei la chanteuse fatale degli Smoke City) arieggia in portoghese "fragile è la terra/così come la mente degli uomini".

Disco che è stato l'apice dell'Asian Underground. Innovativo e coraggioso. Testimonianza universale anzi urlo di una "seconda" generazione. E di quelle a venire.

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