Arto Lindsay fu tra i partecipi di quel movimento che travolse New York nell'epoca pre-punk del 1978. Nacque artisticamente con John Lurie, Laurie Anderson, John Zorn, Allen Ginsberg e altri, fu l'anima sostenitrice e propositiva dei Sonic Youth e dei Blonde Redhead, fu fondatore dei DNA e degli Ambitious Lovers, e non ultimo, produttore per Caetano Veloso e David Byrne. Ma l'attività "dietro le quinte" stava un po' stretta al nostro e così, dopo la pubblicazione dell'album-rivelazione "O corpo sutil" del 1996, Arto presentò alle stampe (l'anno successivo) il successore di quella strada appena abbozzata con l'album precedente: il disco si intitolava "Mundo Civilizado" e fu un vero scossone musicale per l'idea stessa di contaminazione che ne caratterizzava i brani più significativi. Con questo disco Arto coniugò infatti l'estremismo sonoro delle esperienze dei Sonic Youth con la suadente ambiguità della bossanova e trovò così l'idea vincente per fare di questo disco il punto di riferimento di un'intera generazione di musicisti alla fine degli anni '90. Le nuove esplorazione sonore del musicista sulla musica brasiliana e i suoi derivati, infatti, si muovevano tra melodia e ritmo, dolcezza e acidità in un altalena continua tra quel mondo ritmico e sensuale della natìa terra Brasiliana e quello piu' nervoso e metropolitano della nuova residenza acquisita: New York.  Dice di sè: "Sono nato e cresciuto nel Brasile degli anni '60, con l'idea che la musica pop, tra le altre cose, doveva diffondere informazioni e cambiare la coscienza della gente. La musica pop brasiliana allora era molto aperta rispetto agli altri stili musicali perché il Brasile era a fianco e non nel mezzo di ogni cosa. La TV arrivò e fece maturare una nuova generazione. La gente amava ogni genere di musica, dai Beatles al folk brasiliano sino all'avanguardia di John Cage e alla musica seriale dell'espressione classica del ventesimo secolo".  Insomma, quello che si dice un disco eclettico che fa del contrasto il suo punto di forza: dalla massima dolcezza cantata su basi elletro-noise di "Complicity" allo strano samba rumorista di "Q-samba", dal brano quasi electro-ambient di "Simply Beautiful" agli esperimenti brazil-trip-hop di "Mundo Civilizado" in una capacità di invenzione continua che oscilla tra questi estremi con una naturalezza invidiabile (notare il passaggio dall'incipit quasi classico al trip-hop alla Bjork di "Horizontal") salvo poi farsi prendere da brani pieni di pathos e melodia ("Mar da Gavea") suonati con voce e chitarra senza orpelli o diavolerie elettroniche. Insuperabile quando i brani si colorano di elettronica leggera e impalpabile con loop magnetici di un pianoforte che potrebbe essere suonato da un Craig Armstrong in stato di grazia ("Imbassal"). Un album bello e tutto sommato non "così sperimentale" e di rottura come poteva sembrare date le premesse iniziali, ma era sempre il 1997 e da allora di passi avanti verso la contaminazione più sfrenata ne sono stati fatti e non pochi. Tant'è che i lavori successivi di Lindsay (l'ultimo "Invoke" è di quest'anno) saranno anche più eccessivi ed elettrificati, spostati di più sul versante "metropolitano", allontanandosi ancor di più dalla dolce saudade natìa, qui ancora fortemente presente.

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