I Floyd erano sull'orlo della separazione e, svogliati e immotivati, Roger Waters e David Gilmour (capisaldi del gruppo) si erano dati da fare per farsi conoscere non più come "Pink Floyd" bensì come loro stessi. Gilmour con "About Face" e Waters con "The Pros And Cons Of Hitch - Hiking" stavano tentando di lanciarsi in carriere soliste, spegnendo una volta per tutte il gruppo che nel passato, aveva inventato la psichedelia.

"Pros and cons" non era inventato sul momento, la creazione dei demo risaliva al 1978. All'epoca Waters, con una sola chitarra acustica, scrisse due tracce per altrettanti concepì album, “The Wall" e questo. Mentre la prima trattava della condizione del singolo individuo, dell'inesorabile muro che una persona tende a costruirsi attorno a se, la seconda era più "all'acqua di rose".

"I Pro e i Contro Dell' Autostop", come vuole la traduzione italiana, si sviluppa attorno ai sogni di un uomo che, caricando una sensuale autostoppista, compie numerose avventure incontrando anche bizzarri personaggi, dagli arabi con le sciabole alla giapponese Yoko Ono, da Dick Tracy ad un naturista dello Wyoming. "Più o meno" disse all'epoca Roger Waters "nel contesto di questi sogni, il subconscio valuta i pro ed i contro di vivere con un' unica donna nel contesto famigliare... contro il richiamo della foresta, se vi piace il termine". Detti questi piccoli accenni, mi preme sottolineare che l'album non ebbe molto successo e fu, ma guarda un po', ucciso dalla critica che gli preservò, sul Melody Maker, il voto più basso, una sola stellina con un commento che ha del perfido: "Sentendo questa spazzatura per feticisti, viene da riconsiderare lungamente l'ultimo disco solista di Gilmour ("About Face" non superò le tre stelline n.d.r.)". In effetti il buon Zio Rog in questo disco non dà sfoggio, almeno in apparenza, di particolare fantasia, ne musicalmente ne testualmente. Dopo qualche decina di minuti infatti, l'eccessiva verbosità del disco arriva a stancare, anche solo perchè non lascia ai musicisti che il minimo indispensabile per eseguire una parte strumentale. Però c'è da dire anche che, se la maggior parte del disco ha chiare reminescenze da "The Wall" e "The Final Cut", alcuni brani si possono considerare veri e propri capolavori, come le irreali quanto trasgressive "Sexual revolution" e "My Running Shoes", la frizzante e stramba Title Track e la seguente malinconica "Every Stranger's Eyes" in cui Waters riesce a far apparire il suo innegabile talento di songwriter: "I recognise... Myself in every stranger's eyes And now, from where I stand Upon this hill / I plundered from the poolI look around / I search the skiesI shade my eyes / So nearly blindAnd I see signs of half remembered days I hear bells that chime in strange familiar ways I recognise... The hope you kindle in your eyes". Dopo quest' ultimo scoppio di note e cori il nostro sognatore si risveglia nel suo letto, accanto alla moglie e sussurra "Non potevo permettermi un altro momento da solo". La vince quindi la famiglia, il vivere con la moglie fra le calde mura domestiche.

L' album, quando usci, aveva un punto che forse più di ogni altro attirava i fan come mosche al miele, la presenza di Eric Clapton alla chitarra solista, con uno stile che definire "Gilmouriano" è poco. Secondo voci indiscrete "Slowhand" accettò, vane le proteste dei manager, di lavorare al progetto solista di Waters dopo una nottata di bevute. I due si conoscevano da tempo grazie alla passione che avevano in comune per la caccia alla volpe e grazie alle mogli, Crolyne Waters e Patty Clapton, che erano amiche di vecchia data. In molti parti del disco si sentono gli ottimi soli bluesy di Clapton come nella briosa Title track o nella scanzonata "Sexual Revolution". Questi virtuosismi, però, si dice furono in gran parte eliminate nell'ora del "crudele" missaggio di Waters che preferì aggiungere altri versi all'opera. L'ex leader del triumvirato Clapton-Bruce-Baker che lo stesso Waters idolatrò ai tempi dei Cream, suonò anche nel lungo tour, le cui numerose date furono decimate dal poco o quasi nullo afflusso di spettatori (in fin dei conti, anche i successivi tour di Waters, fino al poderoso tour "In The Flesh" del 2002, avranno poca affluenza).

Anche i fan più accaniti dei Floyd, infatti, erano dubbiosi verso quest'opera, e di gran lunga messi a disagio dal troppo sessismo che pervade anche la cover con l'autostoppista in desabillè, che fra l'altro fu censurata dai molti gruppi femministi, con l'accusa di "istigazione alla violenza sessuale". Ormai si aveva il sospetto che il buon vecchio Waters non sapesse più distinguere l'arte dall' isterismo arzigogolato di rumori strani e urla depresse: ciò lo evidenzia a dismisura la voce, più rauca e dura rispetto a "The Final Cut".

Se proprio dovessi, a malincuore, dare uno sbrigativo commento al concept Watersiano, lo definirei "sottovalutato": se è vero che la troppa verbosità arriva a stancare le orecchie, alcuni brani con parti strumentali eccellenti riescono a riequilibrare il livello del disco, che nella mia recensione si prende un bel 4. Tiè, quindi, ai critici.

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