So che si è già scritto e discusso di questo disco, ma ora è tempo che io descriva le sensazioni che a me ha suscitato e continua a suscitare l’ascolto di questo enorme lavoro di Lucio Battisti. So che molto probabilmente non è così, ma a me piace pensare che questo disco sia stato pensato, scritto e suonato di notte o in un momento più o meno corrispondente all’aurora (quello che sto facendo io con questa recensione). Tutta l’atmosfera generale del disco, infatti, mi sembra immersa in un sogno o in una specie di generale rilassatezza, ma di quella che fa pensare, appunto, ai sogni. Non proverò nemmeno a spiegare i testi di questo disco, troppo complicato farlo, dirò solo che per me ogni frase di questo album è un flash, un ricordo, uno scatto che affiora nella mente.

Musicalmente, invece, ci si immerge subito in “Abbracciala, abbracciali, abbracciati” (probabile storia di una notte di sesso con la sua “lei” ) dove sembra di vedere la nebbiolina tipica delle prime luci dell’ alba, l’ora piccola (o grande, a seconda dei gusti) è ben definita da “Che ora è? E’ tardi ormai” . “Due mondi” è un evidente omaggio alla mania musicale del momento, la disco music, la canzone è eseguita in duetto vocale con Mara Cubeddu (chi la ricorda nei Daniel Sentacruz Ensemble?). “Anonimo” sembra essere la storia delle prime esperienze sessuali di un fanciullo, la musica è una delle più complesse dell’ album con svariate citazioni, compreso il flamenco, e che finisce con una curiosa citazione (che sembra suonata da una banda di paese) de “I giardini di marzo” . “Gli uomini celesti” , secondo me, è uno dei picchi dell’ album con una magnifica introduzione di chitarre acustiche suonate dallo stesso Lucio e da Massimo Luca. E qui sollevo una specie di quiz: chi saranno mai gli uomini celesti che portando dei figli alla protagonista, le diranno “Scegli” ben sapendo che lei, ridendo, a loro si unirà? UFO? Chi può spiegarlo?Siccome avevo anche il vinile, ricordo che alla fine di “Gli uomini celesti” giravo il disco e all’ inizio del lato B cosa si poteva trovare? La ripresa de “Gli uomini celesti, con il ritornello accelerato e cantato in falsetto con un veloce accompagnamento di acustiche. Poi solo voce e piano per uno dei momenti più poetici dell’ album, la ripresa di “Due mondi” , solo un piccolo frammento.

Ed ecco poi il vero, grande omaggio al Brasile, un pezzo di più di sei minuti dove la parte cantata non ne dura più di uno e mezzo, il resto si poggia su una grande introduzione strumentale a base di chitarre (acustiche, ovviamente), Eminent (la tastiera in gran voga in quegli anni di progressive) e su un finale con cori etnici e percussioni. Sicuramente il vero e proprio manifesto dell’ album. Con “Il salame” si torna a quell’ atmosfera sognante e rilassata di cui si diceva, con un testo però piuttosto banalotto (l’unico dell’ album), mentre “La nuova America” è un sentito omaggio alla musica della PFM di quel tempo, pieno progressive, potrebbe essere la colonna sonora di un film thriller a sfondo romantico. “Macchina del tempo” per me è uno dei massimi capolavori di Lucio, una canzone che ogni volta che la ascolto mi vengono dei flash, delle “fotografie” , quasi mi immagino il tipo disperato col mantello alato che corre sopra il monte e vi si getta giù a braccia aperte e ad occhi chiusi ammirando poi il panorama della natura (i cigni che escono dall’ acqua di un laghetto, campi di grano, ecc. ). Il frammento finale, “Separazione naturale” , chiude degnamente in un’ altra atmosfera da aurora questo disco.

Che dire? All’ epoca molti non avevano capito questo album, ma probabilmente questi “molti” non avevano fatto i conti con un Lucio Battisti che diceva più o meno:

“Cos’ altro puoi fare quando ogni tua mossa, ogni tuo disco va regolarmente al numero 1? Fare un altro numero 1, oppure cercare nuovi stimoli, nuove sensazioni, nuove emozioni musicali, ed eccovi serviti, io ho fatto così”

Ha fatto bene.

 

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