Gran copertina, peccato l'album non lo sia altrettanto.

"Il nostro caro angelo", datato 1973, è forse una delle più grandi delusioni che Battisti infliggerà ai propri fans. Dopo l'enorme successo di "Umanamente uomo: il sogno" Lucio decide di mutare radicalmente le proprie esigenze musicali. Abolisce le musiche classicheggianti di "I giardini di marzo" e ricorre ad un uso, forse un po' insistente, dei fiati e delle chitarre. Le melodie si stabilizzano su note più regolari ma nel contempo più monotone e la voce, sempre robusta e possente, pare farsi debole e fioca quasi fino all'inascoltabilità.

"Il nostro caro angelo" è un album innovativo, ricco di trovate musicali geniali, purtroppo però pieno di estremismi sperimentali a volte fiacchi e inconcludenti. La ricerca sui suoni si fa più accurata e l'album viene mixato a Londra. Battisti diventa supervisore e Mogol un amico cui poggiarsi nei momenti di scarso estro e scarsa genialità. L'album, leggermente raffazzonato, viene tenuta insieme, in qualche modo, dal tema della terra e dei popoli lontani (temi espressi sicuramente molto meglio nel successivo album, "Anima latina"). Ampio spazio viene regalato al tema del sociale, della natura, delle stagioni e del finto progresso borghese (temi, è il caso di dirlo, un po' fasulli visto che vengono decantati da due ultra milionari di nome Mogol e di cognome Battisti).
Eppure, nonostante errori visibili e altrettanto visibili cadute di stile, "Il nostro caro angelo" non è un album disprezzabile. Qua e là qualche canzone pare restituire i fasti dei bei tempi e le frequenti stoccatine nei confronti del consumismo e della pubblicità in "Ma è un canto brasileiro" sono divertenti ed elaborate ("Io non ti voglio più vedere cara mentre sorseggi un'aranciata amara, con l'espressione estasiata di chi ha raggiunto uno scopo nella vita").
Musicalmente complessa è l'interessante "La collina dei ciliegi" che però, guarda caso, sollevò dubbi e polveroni ("Planando verso boschi di braccia tese"), nessuno perdonò mai a Mogol la chiara allusione fascistoide (quasi nazista) che Rapetti volle inserire nel brano. "La collina dei ciliegi" è però un brano assai complesso, composto da cori e chitarre impazzite, sovrapposizioni e strofe originali e azzardate, metriche volutamente sballate e rime concretamente esagerate. Stesso discorso vale per "Il nostro caro angelo" in cui però, nonostante azzardi e originalità varie, Battisti tenta di imprimere una melodia più armonica e collaudata, anche se il lungo finale sembra aprirsi verso soluzioni melodiche ancora lontane da venire.
Se si esclude la bella parentesi di "Questo inferno rosa" (sei minuti di poesia e dolcezza), è il Lato B il punto debole di questo album. "Le allettanti promesse", "Io gli ho detto di no" e "Prendi fra le mani la testa" non sono canzoni degne del miglior Battisti: la musica è orecchiabile ma non perfetta, le parole sembrano voler dire sempre le stesse identiche cose, gli arrangiamenti risultano ricercati e fin troppo elaborati. Un cedimento (molto strano) che Battisti sembra non voler in nessun modo aggiustare: le musiche si fanno più intense, indiscutibilmente armoniose, eppure mancano quella solidità e quell'eleganza che avevano fatto di "Umanamente uomo: il sogno" un capolavoro.

Questa volta, "Il nostro caro angelo" non è riuscito a spiccare compiutamente il volo.

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