Pausa di riflessione, stop and go.

Dopo un breve periodo di riposo (e di ricerca musicale) Battisti trova la via del ritrovato successo: un viaggio via dall'Italia, un nuovo modo di concepire la musica, porte aperte alle sonorità dell'America del Sud, un pò di coraggio e di innovazione, ecco a voi "Anima latina", il disco più anomalo fra tutti quelli incisi da Lucio. "Anima latina" è un album importantissimo nella discografia battistiana, una sorta di spartiacque tra le sonorità classicheggianti stile "I giardini di marzo" e le future contaminazioni pop dance stile "Una donna per amico". C'è tutto in "Anima latina": amore, vita, risate, musica, morte, religione, cinismo, sarcasmo. È un Battisti rinnovato, più vivo, in qualche modo più geniale rispetto a quello di "Il nostro caro angelo": ritrova la vecchia genialità nello scrivere partiture musicali folgoranti, ritrova in Mogol un professionista oltre che, è chiaro, un amico. Undici brani undici, uno stuolo di emozioni e sensazioni che raramente il mercato discografico italiano ha saputo dare. Un insieme di sogni e nostalgie, un album odiatissimo da quelli che hanno amato sempre e solo il Battisti da falò e amatissimo da chi invece ama la musica per quello che offre e non per quello che ha saputo offrire. Sonorità latine, quindi brasiliane, si fondono mirabilmente con musiche esplicitamente italiane (si pensi a "Abbracciala abbracciali abbracciati") in cui Battisti cerca di sorprenderci anche rischiando di risultare monotono e prevedibile. "Gli uomini celesti" è sicuramente una bella canzone di alta classe, ma se sentite il Lato B con la stessa canzone rivoltata come un calzino (ritmo sostenuto e parole masticate) vi renderete conto, senza bisogno di troppe spiegazioni, che sorprendere non è un reato.

Esagerato forse pensare che "Anima latina" sia il capolavoro di Battisti (bisogna sempre conoscere e rispettare i limiti) ma doveroso, e onestissimo, affermare che album del genere oggi in Italia non se ne fanno davvero più, manco a morire. Le sonorità tipicamente latine e gli strumenti tipicamenti non italiani sono forse l'esempio più alto di come si possa, e si debba, fare musica tentando di distaccarsi il più possibile dalle sonorità italiche tutte pizza e mandolino. La canzone che dà il titolo all'album, "Anima latina", è un capolavoro: sei minuti altissimi, quasi ecclesiali, in cui la voce di Battisti, a volte bassa a volte alta, pare fondersi meravigliosamente con le musiche tambureggianti scritte da Lucio stesso in un momento di evidente folgorazione. "Anima latina" non è un disco triste (come qualcuno lo ha definito), è un disco nostalgico, a tratti persino allegro (si pensi alla bella invenzione de "Il salame"), persino genuinamente sessuale, spinto verso l'erotismo più segreto (chiarissima la metafora sessuale in "Abbracciala abbracciali abbracciati"). Eccezionale l'istrionica maturità vocale raggiunta da Battisti nella sensazionale "Macchina del tempo". Qualche concessione di troppo alla sperimentazione (inutile negarlo, "Separazione naturale" non brilla quanto dovrebbe), eppure l'impianto sonoro è talmente entusiasmante da far passare in secondo piano pecche più o meno evidenti. Non è dunque, come già asserito, il miglior Battisti di sempre, è quello però più sperimentale, più coraggiosa e più indipendente, a tratti persino più estremo di quando, a fine anni Ottanta, partorirà la folgorante collaborazione con Pasquale Panella. Quei ragazzini, smilzi e felici, contenti di poter correre beati in un prato suonando trombe e piatti da casseruola, sono forse l'immagine più felice (e più vera) di un mondo grigio e austero che avrebbe bisogno (Dio solo sa quanto!) di ritmi caraibici e sonorità sudamericane.

Ed eravamo solo nel 1975...

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