Il canadese Hayden Desser è uno dei cantautori nordamericani più interessanti da ormai una decina di anni. “Everything I Long For” – suo eccellente debutto a 33 giri – risale infatti al 1996. Sebbene non sia stato mai baciato da significativi riscontri commerciali, Hayden merita ampiamente una dissertazione sulla sua musica. In “Everything I long for” il songwriting del nostro eroe batte infatti con sicurezza ed estro ispirato i migliori sentieri di quel cantautorato americano che, nel decennio scorso, era stato splendidamente contagiato dai detriti del grunge e del lo-fi di scuola Sebadoh.

Il classico campionario folk – acustico viene quindi arricchito da spietate aggressioni chitarristiche reminiscenti i Nirvana e da dissonanze assortite, proprie del miglior Lou Barlow. Il risultato è quasi sempre eccellente, e lo testimoniano riuscite ballate sporche come “Lounging” o “Hardly” , o le melodie deviate di “Stem” , “When This Is Over” o “ You Were Loved” , mentre l’ iniziale “ Bad As They Seem” rende omaggio, sia nel riff che nel testo, alla immortale “Cowgirl In The Sand” del maestro Neil Young. Hayden è un musicista semplice, eppure sa incantare specialmente grazie a una voce da brividi, da perfetto adolescente, con cui modula falsetti alla Young e disperati vocalizzi alla Vedder. “Cantautorato da cartone animato” lo si potrebbe definire, non dissimile da alcune cose proprie del repertorio di Beck in quegli anni. Benché dell’ autore di “Loser” Hayden non disponga certo della stessa visione musicale, il talento intrinseco nello scrivere canzoni è certamente più sopraffino.

Il pathos e l’ immaginario sprigionati da Hayden sono lontani dal teenage angst cobainiano o dagli inquietanti scenari di un Elliott Smith: è puro slackness, inteso come storie di noia, slanci vitali e solitudine nei quartieri middle class delle metropoli nordamericane, e in tal senso il riferimento più intelligente per il Canadese è quello dello slacker per eccellenza, ossia J Mascis. Certi quadretti minimalisti come “We Don’t Mind” o “I’m To Blame” hanno proprio il languore tipico del Giovane dinosauro. Ma Hayden dimostra di non saper vivere solo di luce riflessa, specialmente nell’ epica “Skates” : quasi sette minuti di spleen annoiato e disperato, in un crescendo da brividi. Apice di un disco da conservare in bacheca: come la foto di un vecchio amico ormai perso di vista, ma che ogni tanto si rifà vivo.

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