"La pietra che voi avete scartato è diventata testata d'angolo"

Soffia il vento, fortissimo, e poi lieve, accarezza il viso, smuove i capelli, confonde le idee, mischia le nuvole, su nel cielo, sposta la polvere che offusca i pensieri, solleva i ricordi e confonde l'orizzonte, mentre tutto scorre, e scorre, fluttua l'anima, languidamente, lievemente stordita, quasi coccolata.

I Cocteau Twins e i Mogwai si fondono in pezzi strumentali carichi di feedback, un sound visionario e post-rock, una sorpresa, rumore candido e sinfonie chiare, graffianti, le atmosfere dei Jesus and Mary Chain attraversano le sonorità dei My Bloody Valentine e Goodspeed! you Black Emperor... ad un tratto una chitarra che ricorda Johnny Marr (The end of the pier) sposta le atmosfere e rallegra, per poi tornare alla tristezza con una rara voce, quasi fosse Ian Curtis o Jim Morrison... Commovente.

La luce del crepuscolo rende al massimo l'idea di ciò che questo album può regalare... "The end of the pier" è l'album di debutto (2003) dei Workhouse, band di Oxford poco conosciuta ma dalle grandi capacità. Un album che è un'estasi sonora, un'intensa fotografia del passato con una luce che guarda al futuro, un gioiello, un diamante che illumina il cielo, capace di lasciarci storditi di fronte alla realtà.

Il cielo dei Workhouse è pieno di nuvole, ma anche di raggi di sole, chi ha paura dei fulmini si astenga...

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