“Io sono un falso profeta e Dio è una superstizione.”

“La dottrina della salvezza universale è un inganno. Io vorrei che tutti potessero essere salvati, ma non avverrà. Non avverrà.”

E’ così, fatevene una ragione. Per alcuni il destino è da tempo segnato e senza un buon profeta ad indicarvi la via, non ci sarà via di scampo. Quindi ritengo sia utile riuscire a scovare il profeta appropriato, il buon profeta.

Per essere il primo full-length (pubblicato a giugno 2015 da Matador, che è come dire “una certezza”), questa band di Atlanta dimostra una maturità fuori dal comune.

Si rimane facilmente inghiottiti in questo mix, per ora azzeccato, fatto di canzoni pop, attitudine punk, ritmi elettronici e cori gospel apocalittici. Il tutto sovrastato dal sermone pagano di Franklin James Fisher, cantante dalle doti vocali ed espressive notevoli. E’ lui il predicatore 2.0, che ci guida verso un futuro prossimo, non troppo luminoso a quanto pare.

Sarà che ho sempre amato il gospel, fin da bambino. Non per l’aspetto religioso, quanto come vivida rivelazione di esistenza e persistenza. Rimango coinvolto dal coinvolgimento generale, mi eccita vedere persone eccitate.

Certo è che, ascoltando il disco, non si rimane in bilico. Questa sorta di urlo premonitore ti arriva in faccia. Una denuncia rabbiosa della moderna apatia che ha colpito anche la musica, svuotandola di quel potere evocativo che aveva in passato, talvolta capace di creare un’identità generazionale.

Ora non voglio assolutamente dire che gli Algiers siano i nuovi John Lennon, Bruce Springsteen o Bob Marley (ma nemmeno Nick Cave), però, già il fatto che provino ad andare oltre al solito cliché del rockenrolle-spacchiamoabbestia me li rende simpatici.

Pare quasi assurdo che l’incedere famelico di “Black Eunuch”, considerato il testo, possa di lì a poco trasformarsi in qualcosa di cool e danzereccio, per ripiombare infine in un tragico vortice caotico. La chitarra finale di “Blood” pare il lamento del falso profeta, che si erge sopra alla catena di schiavi del progresso, bestie da soma della modernità. Lode alla morbidezza di “Games”, per arrivare al senso di inquietudine dello strumentale finale, senza titolo.

“Te l’ho detto che ti avrei divorato.”

“Io sono un falso profeta e Dio è una superstizione.”

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