Sono un superficiale, lo ammetto.
E da buon superficiale, un giorno, non so dove, passandomi sotto gli occhi la copertina di questo album, ne ebbi un impressione piatta.
Giudico dalla copertina? Si, di solito è quella che ti perfora per prima quello che chiamiamo il "sentire", ed in questo caso non ho potuto fare a meno di associare due labbra rosse e rosso anche il vestito a qualcosa di sessualmente non alieno, e con ciò corrotto, mercificato, prostituito. Ed è questo che compare sulla copertina. Ti aspetti così la solita cosetta che si dimena cercando di far uscire soldi dalle orbite di adolescenti allupati.
Ma, lasciatemi dire, sono un superficiale.
Troncando tutto quello che potrebbe essere il contesto ruotante intorno a questa nuova artista (2011), che non ha importanza, passo a redimere il mio errore di fronte a voialtri, e a rendere onore a questa di non poco conto artista.
L'esordio è profezia: una chitarra solitaria scaglia eroicamente le sue note calde e traballanti in spazi infiniti, desertici oceani, e si irradia tra le molecole di ossigeno, mentre tra i comuni mortali si materializzano città vuote, costruite con misero legno cedente tra le crepe di lande desolate che confinano con il cielo (Rider To The Sea).
Sembra di doversi staccare dalla terra per vorticare con il pulviscolo sabbioso su qualche lontano crepaccio, quando un'ancheggiante ritmo, scandito dal soffice sfiorare delle corde sull'aria circostante si fa coronamento di una voce morbida e quasi strisciante, un sussurro di dolce lussuria che sibila tentatore e diventa lamento tenue e ammiccante, fatto di noia e di afosa immobilità spezzata dalle carezze di un essere fragile ed ipnotico(No More Words).
La voce si fa più decisa ed incide l'orecchio con ritmi meno blandi e oziosi, muovendosi a passo incalzante tra gli schiocchi di una batteria più decisa, una voce che si fa potenza esteriorizzata e s'impone con grande maestria pur non abbandonando quella sorta di lamento toccante ma risoluto, tinto di determinazione ed intransigenza femminea, dominatrice di un mondo che sfugge (Desire,Suzanne & I).
La realtà a cui dare forma si smaterializza di nuovo in un rivoltarsi inquieto ma dolce tra le coperte di un letto svuotato di ogni amore, ed il grido non perde l'equilibrio con l'avanzare di una disperazione rabbiosa, oscillante tra titanismo e pianto amaro (First We Kiss).
Irrompe il sogno, la metafisica visione che riprende circolarmente la chitarra che dava forma allo spazio al principio del disco, accompagnata stavolta dalla voce che ne diventa la sposa perfetta, unione cosmica tra fiamme ondeggianti ed un oceano di acqua immota, lingue di fuoco che si amplificano e bruciano respiri, sempre più prepotentemente, con padroneggiante vigore infernale, setoso boato di un Inferno fatto di anime dannate per non aver amato Dio, ma una sua creatura(The Devil).
Il risveglio è improvviso e veloce la batteria riprende ad arringare le folle, con una voce che si fa più attenta a calibrare i passi della sua corsa divenuta repentina e necessaria, una corsa che non lascia troppo spazio alla coloristica tonale, ma ricerca piuttosto qualcosa di empiricamente raggiungibile(Blackout).
La melodia si fa più eloquente e la chitarra riacquista spazio fiancheggiata da una voce ancora una volta penetrante, ma questa volta tagliata nell'aria notturna di una metropoli fregiata dalle gocce di pioggia in bilico sui cornicioni, sotto cui passa una figura di pallida spettralità avvolta in un lungo cappotto fatto di consapevolezza, che parla alle masse d'aria che sposta con parole di schietta rivolta (I'll Be Your Man).
Si apre una porta su una stanza irradiata dal pigro sole mattutino, carezzando delicatamente le braccia non protette dall'avido lenzuolo di una ragazza che la notte ha coperto di buio, che ora canta una melodia di fioca rassegnazione, cantando al sole paziente il suo torto subito, chiedendo indietro le ali di falena spezzate dal vento implacabile delle stelle (Morning Light).
L'epilogo non poteva che essere il carismatico troneggiare di una voce che nel corso di un disco durato una vita si è macchiata di crudele consapevolezza, che mitiga con le carezza materne della sua voce, rimasta intoccata nel suo estetismo infantile. Il ritmo si fa più cupo e per un attimo sembra che il silenzio abbia strappato il vessillo del trionfo con spietato fendente; si sentono passi e metalliche ovazioni che rotolano nell'angoscia. Ma la voce irrompe nuovamente, nave dalle vele bianche che soffia un bacio sulla fronte del naufrago arresosi ai flutti, si trasforma da vascello imponente in visione gloriosa, serafica, un arcangelo splendente che brandisce una spada fatta di illusioni lacerate, di sogni cullanti, di labbra rosse e di rossi vestiti (Love Won't Be Leaving).
***
Il voto rispecchia un andamento del disco lineare, che pur nella sua sublime dolcezza, non esplode in vertici inaspettati, che ne sancirebbero la perfezione formale. E' quindi un disco, un'artista che coinvolge sensisticamente e psicologicamente mantenendo il tenore emotivo ad alti livelli e rimanendo sempre vibrante nella sua tenera potenza.
La triadica suddivisione Rider To The Sea, The Devil, Love Won't Be Leaving (momenti di particolare intensità strumentale [nel primo caso] e vocale [nel secondo e nel terzo] , scandisce l'opera con eleganza e la rende meno istintiva e rudemente immediata. L'alternarsi di toni cullanti e vigorosi struttura il ritmo complessivo con straordinaria versatilità evitando un qualsiasi tipo di monotonia, pur nella non eccessiva multiformità tonale del tutto.
Disco che non avrebbe bisogno di una così sconsiderata (e forse patetica) descrizione, perché è decisamente una dolce anomalia da qualsiasi prospettiva lo si guardi.
° Perdonatemi la prolissità, ma è la mia prima recensione e non so come regolarmi rispetto alla lunghezza. Ho cercato di tagliare il più possibile, ma credo sia stato inutile.
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