Rifugi

Sera... che giornata assurda oggi, cammino verso casa, mi sento uno straccio e, come se non bastasse, soffia attraverso le nuvole un vento caldo come il deserto. Accelero il passo, la valigetta mi sembra più pesante del solito, mi chiedo cosa ci sarà dentro, forse la mia stanchezza?
Supero il portone di ingresso, entro nell’ ascensore, premo il pulsante, ancora 22 fottuti secondi prima di essere finalmente a casa, tanti quanti servono perché, senza un'apparente ragione logica, il pensiero di una melodia ed una voce mi entrino nella testa come un dolce tarlo, così inizio a fischiettare. È un presagio che mi dice come passerò la serata. Allento il nodo della cravatta, sempre troppo stretto, e inizio a sbottonare la camicia. Superando la porta di ingresso, scaglio la valigetta in pelle fiorentina verso un angolo dello studio, recependo al momento dell'impatto il chiaro segno che qualcosa di fragile al suo interno si è irrimediabilmente rotto. Un solo pensiero: "chi se ne fotte". Metto su il disco che mi suonava nella testa. Una voce, una chitarra. . . tutto inizia a passare.

Avevo bisogno di questa musica per far finta di fuggire un po' dal presente ed eccomi in Arizona, splende il sole. È sempre così quando a cantare c’è Howe Gelb. Già è proprio lui che si nasconde dietro questo strano nome: "Arizona Amp And Alternator" ("this band has no members"). Ma per quanto scelga mille travestimenti il suo stile ha tratti inconfondibili: folk country intimista, malinconico e consolatorio con echi di Lou Reed, attraversato talvolta da venature jazz. Il disco sembra la naturale prosecuzione di "The Listener" ed un’attenta, lucida e rigorosa analisi dovrebbe portarmi ineluttabilmente a dire che tutto sommato, questo lavoro non dice nulla di nuovo nella sua storia musicale, che lui potrebbe fare di più, che potrebbe essere più sorprendente, che le atmosfere sono le solite, le collaborazioni musicali importanti, la classe tanta e via dicendo. . . bla, bla, bla. . . Sarà così anche vero che questo déjà-vu sonoro può condurre alla noia chi ha sempre fame di novità, ma è altrettanto vero che stasera io non ho questa fame, in più non ho voglia di seghe mentali, di equilibrio, di ragionamenti. Ho voglia di certezze, di abbassare le tapparelle delle finestre e sapere che il confondermi con questa voce calda è un buon rimedio a ogni rottura di scatole.

“ That's my country. . . ” canta il nostro eroe. . . la voce è un po' stralunata, a volte sembra un malinconico cane bastonato che si risolleva guardando il tramonto, in altri momenti mi strappa un sorriso perché crea un'atmosfera amichevole, come se fosse qua accanto a me suonando la chitarra. In fondo stasera mi piace riflettermi in questa immagine e ascoltando questa voce mi sento meglio. Oggi mi basta, oggi va bene così, non chiedo altro. Fanculo al mondo, fanculo alle scadenze, fanculo ai calendari, agli appuntamenti, ai pensieri e last but non least fanculo al cellulare. . . a proposito dov'è? Ah eccolo. . . spegniti. Ora non voglio sentire nessuno, voglio solo un po’ di pace da godermi nel mio mondo dipinto e fasullo. Sì fasullo. Perché domani tutto ricomincerà, ma saperlo non mi importa. Ora mi interessa solo stare seduto ad ascoltare al buio con gli occhi chiusi immaginando un altrove, utilizzando quel poco che rimane della mia immaginazione logorata per proiettarmi da un’altra parte e rigenerarmi. Adesso ho bisogno solo di chitarre dondolanti, di ballate che sanno di antico, di duetti vocali lievi e delicati, di altri mondi. E la musica serve anche a questo, inutile prendersi in giro.

Quindi caro il mio lettore quando tutto va storto, quando sei sempre di corsa e non hai un attimo per te stesso, quando vorresti mandare a quel paese tutti senza distinzione, quando non ce la fai più, quando sei stanco e vorresti urlare... quando succede tutto questo e hai bisogno di un rifugio sappi che in questa musica forse potresti trovarlo.

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