Si può dire che il progressive degli anni settanta sia stato prerogativa del Vecchio Mondo. Per quali ragioni è difficile comprenderlo, forse culturali o di tradizione, ma resta il fatto che negli States i semi di questa rivoluzione musicale non hanno attecchito. La discografia americana ha scelto altre strade e probabilmente in risposta a quanto succedeva in Europa si è formato il movimento parallelo del cosiddetto pomp rock, che peraltro ha sfornato pregevoli gruppi quali i Kansas, i Pavlov’s Dog o gli Styx.

Purtroppo però questa situazione ha penalizzato le sorti di quei gruppi che invece prendevano spunto dai colleghi europei e che rimasero quindi confinati nel sottobosco. Tra le migliori espressioni di questa scena underground vi sono sicuramente gli Atlantic Philarmonic, band di Cleveland, formatasi agli inizi del decennio e composta da soli due elementi. Il loro unico ed omonimo disco esce nel 1974, per la misconosciuta casa discografica Dharma, ed è un lavoro decisamente valido.

Il leader Joe Di Fazio è la mente creativa del gruppo, nonchè compositore di tutti i brani. Egli è un abile polistrumentista, di estrazione classica, che si diletta tra tastiere, chitarre, basso e voce. Ad accompagnarlo il batterista e percussionista Royce Gibson, molto dinamico e creativo, che funge anche da seconda voce.
Nonostante il disco venga pubblicato verso la metà del decennio, le sonorità sono decisamente vintage e lo stile è un prog sinfonico incentrato sulle tastiere, che presenta alcuni richiami a gruppi quali Nice, E.L.P. ed Atomic Rooster. Quello che viene da chiedersi al primo impatto è come possa questo duo creare un suono così corposo e variegato. Leggenda vuole che Di Fazio suonasse tutti gli strumenti anche nelle esibizioni live. Io non c’ero e quindi non mi sento di mettere i gingilli sul fuoco.

Atlantis” apre il lavoro con il suo incedere epicheggiante, tra sferzate di chitarra e un organo sempre in evidenza. Una canzone dall’atmosfera cupa e d’altri tempi, con una chiusura decisamente sabbathiana. Il secondo brano, “Woodsman”, cambia completamente registro. Una sognante e delicata ballata improntata su un piano malinconico, al quale Di Fazio si dimostra decisamente un virtuoso. I richiami alle melodie dei primi King Crimson aleggiano nell’aria e il finale in crescendo dominato dal mellotron è memorabile.   
A seguire “Deathman”, brano dal piglio decisamente più hard e con pregevoli cambi di ritmo. La ricetta è semplice in questo caso: linee vocali incisive e riff di chitarra ispirati.
La quarta traccia “Fly-the-night” è invece una canzone dall’incedere marziale, giocata sul dualismo organo / clavicembalo, che a tratti ricorda i Genesis. Nella successiva “My Friend” le influenze classiche del leader tornano a farsi più presenti. La canzone si incentra sul suono caldo del piano, alternato alle tastiere, e si sviluppa in pregevoli parti corali ed un interessante bridge chitarristico centrale.

A chiudere il disco la lunga suite “Atlas”, che riprende i toni epici dell’opener. La chitarra è qui la vera protagonista e in particolare il devastante riff introduttivo che si ripeterà lungo il brano. La composizione è molto articolata e presenta spunti notevoli, tra passaggi corali e ricercate percussioni. Un brano duro, oscuro, che trasmette inquietudine.

In definitiva gli Atlantic Philarmonic si dimostrano un gruppo eclettico e riescono a mescolare le molteplici influenze in un sound personale. Consiglio questo disco a tutti gli appassionati del prog dei seventies e in particolare agli amanti delle tastiere: qui tra Mellotron, Moog, Clavicembalo, pianoforte e piano elettrico c’è veramente di che sbizzarrirsi.   
   

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