Nella metà degli anni ‘70 il prog italiano è al suo massimo splendore. Non si contano le band clamorose che in queste poche decine di mesi danno alla luce capolavori invidiati e influenti. Dai Ghost ai Darkthrone, per non parlare di tutti i complessi più vicini al prog, questi anni hanno segnato la musica del ‘900. E tra gli Area, il Banco, i New Trolls, si erge lui: il Biglietto per l’Inferno. Ci sono mille motivi per cui non dovrebbe essere il miglior disco prog italiano; ma se faccio parlare il cuore, ne trovo altrettanti e anche di più per cui invece lo è.

Il gruppo si pone come un viaggio nelle atmosfere più malate e struggenti esplorando gli anfratti di una società come quella italiana dell’epoca, piena di ombre e angoli bui.

Il disco è estremamente vario: un viaggio che con amarezza e ironia, oblio e gloria ti fa sentire come in un vicolo lurido con siringhe per terra, e al contempo al cospetto di quanto di più nobile e profondo l’animo umano possa riservare. Onirico e crudo, senza tempo ma civilmente impegnato.

Ci sono tre motivi principali per cui - sul piano prettamente “tecnico/teorico” - ritengo non folle argomentare per questo disco quale principe del prog tricolore.

Prima di tutto bisogna osservare che questo sta al prog italiano come “Powerslave” sta all’heavy metal, o come “Turandot” o l’”Aida” stanno alla lirica, ovvero: magari su singoli aspetti viene superato da altri dischi, ma nel complesso raccoglie tutto quello che il genere può offrire non facendo un mischione sciapo che non eccelle in nulla, bensì portando tutto ai massimi livelli. Orchestrazioni, sperimentazioni, momenti hard rock, momenti folk, momenti sinfonici, tutto. E tutto perfetto. Mancano momenti jazz, è vero, ma quelli fanno parte di tutto un altro filone del prog, e comunque si tratta di una scelta stilistica presa a ragione: mal si sarebbero sposati con l’intenzione della band.

Un altro motivo sono i testi: tra Locanda delle Fate e PFM testi che chiamarli poesia è poco ce ne sono, ma qua è proprio un’altra cosa. Poesia brutale. Mi è concesso dissacrare un attimo, con dichiarata provocazione, l’immenso Stratos? Beh, grandi gli Area, grande impegni politico per carità, ma avoja a canticchiare “la mela di odessa, cavalca cavalca”... ma che è? Una filastrocca? (Il giorno che dirò senza ironia queste parole sugli Area fate a pezzi il mio corpo, sia chiaro). Col Biglietto niente metafore hippie. Dopo un’intro asfissiante l’ultima traccia si apre con parole asciutte: “Attorno al tuo corpo c’è un alone di morte”. Ma niente spoiler, tanto basti.

E poi c’è da considerare che sto album non è visionario come potevano essere altri gruppi, ma ha un merito non da poco: difatti anticipa l’heavy metal. Che batteria martellante ha il finale di “Ansia”? E non mi direte che il riff finale di “Confessione” non vi ricorda “The Duellists” o “Where Eagles Dare” dei Maiden? E la schizofrenia a metà di “Una strana regina”? Questi accenni qua e là mischiati a un’impostazione hard rock rendevano a tutti gli effetti il Biglietto dei metallari ante-litteram. E scusate se è poco, nella timorata Italia (per non dire Europa) degli anni ‘70.

“Ansia” è il racconto di un povero meschino che non ha pace. Per lo più strumentale, la poesia finale è infamia fatta musica. Siamo già a livelli stellari.

Il riff che apre “Confessione” ricorda gli ZZ Top, scevri da ogni americanata però. Le armonizzazioni abbondano, la voce di Canali è perfetta. Hard prog, del migliore. Il testo si scaglia contro il clero, bigotto e chiuso, che imponeva massime vecchie e insensate. Andate a leggere la biografia di Canali per rendervi conto di che tipo era.

“Una strana regina” riflette sul tema dell’ipocrisia, con parole mai scontate. Tanti Jethro Tull (il flauto di Canali è semplicemente perfetto), un po’ di Black Sabbath. Brano magnifico.

“Il nevare” forse è l’anello musicalmente più debole, ma il testo è veramente poetico. “Ho visto un nugolo di uccelli neri, creature strane… dagli occhi umani”, “Forse anche in cielo c’è una piccola guerra” oppure “Sui tetti antiche ombre festeggiavano la sera”. Questo è il momento in cui i Nostri si concedono di allontanarsi dai testi così romanticamente crudi del resto, dando spazio a immagini suggestive e toccanti.

E poi “L’amico suicida”. Un quarto d’ora di… non si può dire, semplicemente, troppa grandezza. Forse alcune parti sperimentali colpiscono poco, è vero, ma a chi importa? Un testo magnifico, che parla di morte ma anche rinascita. È la degna chiusura di un capolavoro.

Ascoltate questo disco, riascoltatelo, lasciate che vi sorprendiate ogni tanto a ripensarci, perché, no, un disco così non se ne va, si scava una cuccia in voi e ci rimane. Visitate l’eremo di Minucciano, dove morì Canali, ascoltate questo disco nelle più disparate occasioni e saprà ogni volta ispirarvi, ascoltatelo quando sentite che vi manca qualcosa.

Lo conosco a memoria, ma ogni volta che lo riascolto trovo qualcosa di nuovo in lui, e forse in realtà trovo qualcosa di nuovo anche in me

. Voto: 97/100.

Elenco tracce samples e video

01   Ansia (04:16)

02   Confessione (06:32)

03   Una strana regina (06:12)

04   Il nevare (04:37)

05   L'amico suicida (13:20)

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Altre recensioni

Di  Testaverde

 Avessero avuto qualche sponsor in più, sarebbero stati, per l’Italia, quello che i Black Sabbath furono per il Regno Unito.

 La sepolcrale voce del front-man Claudio Canali si sposa perfettamente con lo squallore della tematica proposta.


Di  T-Rex

 Un mix chitarre-tastiere che si fondono alla perfezione con il testo di Canali che raggiunge gli apici della poesia.

 Un grandissimo disco che non può essere ignorato dai cultori del progressive rock.


Di  GATTINATOR

 La sua voce è tetra e commovente e scivola via in atmosfere del tutto cupe.

 "Ascoltami padre e dimmi se questo, lo chiami peccato o un nobile gesto... hai solo un BIGLIETTO PER L'INFERNO".