Memorie dal sottosuolo

È ormai diverso tempo che questo disco rock dei canadesi Black Mountain ha praticamente monopolizzato il mio lettore, allontanando dalla mia mente ogni altro genere di musica, girando ininterrottamente giorno dopo giorno, ora dopo ora senza stancarmi un secondo, anzi conducendomi di fatto ad uno stato di assuefazione e di bisogno continuo di premere il tasto "repeat".

Sì, questo disco è praticamente diventato una specie di sorprendente droga e ancora mi sto chiedendo dove nasca tutto questo incomprensibile entusiasmo per questa musica. Affidandomi alla ragione dovrei, infatti, affermare che non ha molto senso appassionarsi così tanto per un disco del genere, perché apparentemente presenta una musica distante anni luce dai miei abituali ascolti, dalle mie certezze. Ma in fondo, pensandoci bene, questo è il minimo, dato che amo contraddirmi di continuo. Però c'è dell'altro, ben più importante. Di per sé questo disco non ha niente di eccezionale, innovativo o di originale. È un continuo déjà vu dal principio alla fine. L'impressione ascoltandolo è che questi musicisti si siano rinchiusi in una cantina buia portandosi appresso i loro strumenti ed alcuni dei dischi rock più belli degli anni '60 e '70. Quindi, dopo essersi ubriacati di centinaia di ascolti per settimane, mentre il mondo continuava a vivere la musica per i fatti suoi con sfilze di gruppetti e gruppettini fatti con lo stampino, hanno imbracciato i loro strumenti ed hanno iniziato a suonare le loro canzoni tirando fuori dalla fossa comune di quel magico periodo un po' di tutto: Led Zeppelin, Jefferson Airplane, Velvet Underground, Pink Floyd, Rolling Stones, The Doors, ecc. Per questa ragione diventa stimolante anche solo cercare di individuare riferimenti e citazioni sparse ovunque. Sono certo che molti di voi ne individuerebbero tante altre in questa specie di zibaldone musicale, dove si trova davvero un po' di tutto fra musical, psichedelia, rock, rock-blues, hard rock ecc ecc. Ad esempio, il brano di apertura - "Modern Music" - sviluppato intrecciando un sax frenetico, con coretti e chitarre mi ha fatto venire in mente alcuni passaggi del "Rocky Horror Picture Show". Teatrale ed ironico è un incipit esaltante, ma illusorio perchè la potenza cupa della chitarra elettrica in chiusura fa presagire tutt'altra atmosfera, che viene confermata dai brani seguenti, i quali fanno letteralmente compiere questo salto indietro nel tempo.

Ogni brano diventa così un quadro di un'esposizione dedicata ad un sottosuolo musicale lontano, che così si riavvicina a noi, riuscendo di volta in volta a suscitare sensazioni diverse. A volte vibrano le corde dell'anima, altre vengono amaramente strappate, contorte lentamente, facendo riscoprire il piacere di un assolo tirato chitarra o di una malinconica interpretazione vocale, in un'alternanza di momenti acustici con eccessi elettrici. In breve, questi divertenti, esaltanti, ma anche cupi e malinconici, artisti canadesi hanno realizzato un bel disco e non vogliono proprio andarsene dal mio lettore, quindi aiutatemi: qualcuno prema "stop"... ma non subito.

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