Blue Oyster Cult – Blue Oyster Cult (1972)
Un cielo stellato, una croce e un uncino, una serie infinita di porte sull’ignoto. Quando il disco di cui mi accingo a parlare usci’, nel 1972, la scena musicale negli States era in forse. Il Flower Power era morto, Hendrix, Allman, Oakley, Joplin, Morrison, Wilson, Pigpen, morti. In Inghilterra un gruppo di Birmingham, i Black Sabbath, aveva rivoluzionato la storia della musica con un suono nuovo creando, in pratica, l’Heavy Metal. Ma gli U.S.A. dovevano dare per forza una risposta al combo britannico, e glie la diedero con il nome di Blue Oyster Cult. Un gruppo di newyorkesi polistrumentisti si riunì nel 1967 (prima dei Black Sabbath quindi) sotto l’egida di “Soft White Underbelly”, poi cambiato “Stalk Forrest Group”, e infine in “Blue Oyster Cult”. La musica era dura, i testi ermetici, e l’attitudine era quella di bikers intellettuali che con delle canzoni mai sentite prima potevano farti letteralmente impazzire, anche se non capivi subito di cosa stessero parlando. Dietro alla complessità di alcuni testi c’era la penna del paroliere Sandy Pearlman, dello scrittore Robert Meltzer e di Patty Smith, che in origine stava per diventare la cantante della band. I “Cult” arrivano in studio come tali solo nel ‘72, e nonostante una produzione non eccessivamente rifinita, ad opera dello stesso Pearlman, il disco che ne viene fuori è di quelli che segnano un’epoca. Canzoni come “I’M On The Lamb But I Ain’t No Sheep”, carica di ansia omicida, o “She’s As Beautiful As A Foot”, scritta probabilmente sul serial killer feticista Jerry Brudos, e “Screams”, inno del bassista Albert Bouchard all’incertezza della vita in una società pericolosa e nemica, sono fuori dal comune tutt’oggi. Il resto del disco è altrettanto seminale, e fu all’epoca la bandiera del nuovo Heavy Metal americano.
Carico i commenti... con calma